Gianluca Becuzzi – We Can Be Everywhere [2014-2023] (Final Muzik, 2023)

Di We Can Be Everywhere vi parlò in queste pagine – oramai quasi dieci anni fa – Emiliano Grigis, in una recensione alla quale non posso che rimandarvi. Giusto per inquadrare quello che dirò poi, siamo in ambito dark-ambient che, nella prima parte, composta con Svart1, esplora territori ansiogeni e hauntologici con qualche picco di rumorismo estremo (The Screaming Torso), nella parte centrale (che vede la collaborazione del collettivo Retina.it) si fa più ritmica e straniante, a tratti quasi lynchiana, e nei due brani conclusivi, con Deison, sintesi e summa dell’intero lavoro, evoca, in paesaggi dilatati, voci d’oltretomba e atmosfere realmente angoscianti.
Oggi Final Muzik ci ripropone quell’album in versione CD (l’originale era CD-R) accompagnato da un secondo dischetto che include una nuova versione del lavoro che ruba dall’originale qualche sample (per lo più vocale) e lo inserisce in un diverso tessuto musicale; mi aspettavo una cosa sulla falsariga di Unholy Rituals, dove Becuzzi rielaborava e attualizzava magistralmente il materiale sonoro dei Limbo, ma il We Can be Everywhere del 2023 è qualcosa che col precedente ha pochissimi punti di contatto e si sviluppa su coordinate completamente diverse. La chitarra è l’indiscussa protagonista dell’opera; magari non una sorpresa assoluta, se ripensiamo a certe tracce dei precedenti Axis Mundi e Deeper, ma qui le sei corde, quasi sempre distorte e unite ai battiti sintetici, danno vita a un suono che, per le sue caratteristiche di lentezza e pesantezza, non possiamo che definire doom, per quanto quasi esclusivamente strumentale e slegato dalla forma-canzone.
Le tracce sono quattro, nominate ognuna con una delle parole che costituiscono il titolo dell’album, come dire che il tutto potrebbe benissimo essere fruito come un’unica composizione: nel corso di oltre 40 minuti il suono della chitarra si addensa e dilata senza mai perdere pathos, trasmettendo anzi quel senso di tensione, spaesamento e inquietudine che era proprio della precedente versione e che finisce per rappresenta forse l’unico forte trait d’union col lavoro del 2014.
Quello che sorprende è l’ascoltare come Becuzzi padroneggi una materia alla quale, almeno in teoria, non è avvezzo: nelle tracce di We Can Be Everywhere incontriamo la dissoluzione della forma propria dei Khante, la freddezza chirurgica e la psichedelia oscura degli Skullflower di IIIrd Gatekeeper, l’austera compostezza di certe composizioni di Fear Falls Burning, anche se qui i battiti – essenziali, secchi, pesantissimi – di matrice godfleshana prima maniera, sono sempre presenti, sebbene talvolta talmente rari da perdere qualsiasi funzione ritmica.
Pur muovendosi in territori già battuti, il musicista lo fa con sicurezza e personalità (ad esempio nell’uso dei sample vocali) e se ne esce con un lavoro che da un lato potrà incontrare l’interesse degli appassionati del genere, dall’altro potrebbe portarlo a mettersi in gioco (chissà, magari anche dal vivo) al di fuori dell’abituale circuito post-industriale. Si aprono dunque nuovi scenari: sono paesaggi foschi, ma se Becuzzi vorrà, saremo ben disposti ad attraversarli.