Qui With Trevor Dunn – S/T (Macinadischi, 2018)

Bel colpo quello della Macina Dischi che fa uscire in CD l’album dei Qui in compagnia di Trevor Dunn (Mr. Bungle, Fantomas, Tomahawk) già stampato in vinile da Joyful Noise. Le notizie sono due: la prima è che i losangelini diventa temporaneamente normali, almeno dal punto di vista dell’assetto, schierandosi col tridente chitarra, basso e batteria; la seconda è che tornano ai loro livelli consueti dopo la prova non proprio maiuscola dello split con gli Ultrakelvin. Ricercare un filo conduttore a un disco dei Qui è impresa improba e probabilmente inutile – a meno che non si voglia identificare la follia come elemento unificante del tutto, cosa che a ben vedere ci potrebbe anche stare – ma il disco fila vi comunque bene fra momenti sincopati e convulsi e altri più quieti. La presenza di Dunn, spesso impegnato al contrabbasso, spinge le composizioni verso una forma di jazz abbastanza classica, ma resa secondo lo spirito del gruppo, quindi sghemba ed irridente, che ai più attempati e metallari di voi potrebbe ricordare le incursioni nella musica degli anni ruggenti dei grinder Exit 13 con l’album Smoking Songs. In effetti, su otto pezzi, Buon Giorno, Nicolo (sic!) coi suoi saliscendi pestoni, l’Ashtray Heart presa dal repertorio di Captain Beefheart e buttata ancora più sul grottesco con l’aiuto di King Buzzo (Melvins) alla voce e Kevin Rutmanis (Cows) alla slide e l’ottima, convulsa Sexual Friend si ascrivono senza troppi problemi al classico stile della band, Splinter Hole fa da ponte fra i due stili disturbando il duo batteria/contrabbasso con un’insinuante chitarra noise e il resto è in quota a questa anomala forma di jazz. Poco più che in divertissement probabilmente, ma più che sufficiente a rendere il disco appetibile non solo agli appassionati dei Qui o agli orfani dei Mr. Bungle: la filastrocca scioglilingua di Cut Yourself Thin toglie il fiato solo ad ascoltarla, la ninnananna pastorale di Business Neutral è un capolavoro di ironia, Weirder Gender, col suo ritmo sornione e indolente, è una degna chiusura. Giusto My Great Idea non saprei ben come collocarla, perché, pur basandosi su un’insistente base jazzata, finisce per inglobare di tutto, anche del metal epico trasfigurato (possibile? Che la follia del gruppo sia contagiosa?). Vabbè, l’avrete capito, un album- senza capo né coda: bentornati Qui!