Ponte Del Diavolo – Fire Blades From The Tomb (Season of Mist, 2024)

Il maligno si paventa con brividi lungo la schiena, spesso in momenti sorprendenti.Qui, ora, con Fire Blades For The Tomb, primo lavoro lungo del Ponte Del Diavolo.
Batteria gestita da Segale Cornuta come se avesse rubato qualche braccio a Kali, due bassi (Krhura Abro e Kratom) a dare solidità, Nerium alla chitarra ed Erba del Diavolo alla voce. Paganesimo, riti ancestrali, pegni da pagare al maligno, atmosfera livida e provinciale, come un Pupi Avati percosso da lascive tentatrici. Musica bella dritta, pesante e ronzante, che sfrutta l’ugola della cantante per accendere fuochi nella notte. Ci si abbandona al male, quale che sia la lingua scelta per esprimersi, al ritmo, al crocevia finalmente imboccato nella sua strada più impura. Ovunque un’atmosfera da anni ’80 malsana, da una Torino che non ha mai nascosto i suoi lati più oscuri e che, con il calare degli edifici, lascia spazio a nutrie ed altre bestie malefiche ad uscire dagli anfratti. Non c’è particolare ferocia, solo la gestione di un carico di intensità e virtù oscura. Covenant se ne va nello spazio fra scie luminose ed avanzando i ritmi si fanno languidi e tumidi, rossi come il sesso di colei che vive nella morte parafrasando il titolo del brano in questione. Cavalcate strumentali, canti come se il lato selvatico della Donna venisse espresso in tutta la sua proverbiale ipnosi, sirena oscura e tentatrice in lallazione. I brani riescono a calibrare atmosfere e magia portandoci ad attraversare l’album come un rito nel quale non esiste ridondanza ma calibratura di pesantezza, zolfo, magia e folklore, come in una nocturnal veil magica per il suo uso del clarinetto di Vittorio Sabelli. Zero, che conclude i brani autografi del disco, esplode in una velocità che fa aumentare il potenziale drammatico e di tensione di un progetto che ha dalla sua estreme potenzialità. La caveiana The Weeping Song viene lanciata a rotta di collo per stringersi intorno alla gola di Erba del diavolo, musa ed allo stesso tempo vittima, insieme a Davide Straccione, di un vero e proprio capolavoro, omaggiato con gusto e la giusta amarezza.