Begayer – Évohé B​è​gue (Murailles, 2024)

Non avevo idea che fosse uscito un nuovo disco dei Begayer, grazie quindi a Battiti che, mettendolo in scaletta, lo ha subito portato alla mia attenzione. Il quarto lavoro dei francesi (contando la raccolta di ep dello scorso anno) conferma quanto di buono abbiamo sempre sospettato su Loup Uberto, Lucas Ravinale, Alexis Vinéïs, Jean-Philippe Curtelin ed Etienne Foyer: una musica ancestrale ed aliena, che rimescola attitudini folk su materiali che sembrano trasfigurati e corrotti da un tempo che non ha avuto pietà di loro. È musica fortemente connessa con il noise e con il jazz, riuscendo però a mantenere quella caratteristica d’impatto che ti riporta alle montagne, alle civiltà rupestri ed al passato. In qualche frangente, come in Évohé Bègue, potremmo accostare i loro suoni alle peripezie di un Arrington de Dyoniso, ma anche al nord dell’Africa, in un continuo rimescolamento di spunti. Bambini, animali, la musica dei Begayer è piena di vita e sembra essere un ritratto del mondo; la voce trasfigurata e beefheartiana di Loup Uberto ci fa da cicerone ed è a lei che ci affidiamo, non comprendendola ma sorbendone ritmo ed inflessione. Il suono delle cornamuse e dei tamburi in Lycose Battue ci spinge alla danza come rituale, come comportamento ed azione trasmessa di generazione in generazione, che si accompagna con una musica fuori dal tempo e dal luogo. Nella narrazione musicale, nel titolo del gruppo, del disco ed in diversi brani esce Bègue, la balbuzie, che credo vada però intesa come veicolo espressivo personale, che ha forse bisogno di un ascolto più accurato per accorgersi dei tesori che cela, come il dub alpestre di Fable bègue, il suono astratto e gommoso di Seul d’un Bourg o la prece finale, tra frequenze e vagiti calati in una notte disturbante.

Un graditissimo ritorno, che vorremmo quanto prima saggiare anche dal vivo…