Pino Nuvola – A Fronte Praecipitium, A Tergo Lupi (Pipapop,2024)

Mi sentivo come ” figura nel paesaggio”, mi vedevo “accolto e irradiato dal paesaggio” : esso mi faceva proprio, diventavo un organismo vegetale-animale-umano. Solo che nel mentre sapevo ancora un po’ troppo di me. Avrei dovuto entrarci semplicemente alla cieca. *

Pino Nuvola ha saputo farsi cieco e veggente, abbandonare tutto e con la sua risonante chitarra portarci nel cuore misterioso del bosco. Da molto, molto tempo non ascoltavo un disco per chitarra acustica così ispirato e essenziale e Stefano Durighel, in arte Pino Nuvola, mi ha rapito da subito con una grande tecnica sviluppata in modo poetico ed essenziale. Se dovessi scegliere tra le grandi vie del fingerpicking, in questo disco vedo sopraggiungere Robbie Basho a cavallo del suo cavallo bianco, la chitarra di Nuvola è evocativa ed essenziale, ha l’andamento timoroso e ardito del viaggio iniziatico.
“A Fronte Praecipitium, A Tergo Lupi” è un proverbio latino che indica una situazione disperata, dalla quale non sembrano esserci vie d’uscita: di fronte c’è un precipizio, alle spalle i lupi.
Per arditezza e bravura A Fronte Praecipitium, A Tergo Lupi mi ha riportato alla mente A bordo del Conte Biancamano di Roberto Menabò, gemma rara da riascoltare e riscoprire assolutamente, assieme al fondamentale libro di Menabò su John Fahey.

Il disco di Nuvola inizia con Preludio, che è una gioia per le orecchie, poche note a cui il giovane e sapiente chitarrista dà il giusto respiro introducendoci al viaggio.
Nella seconda composizione, A Fronte Praecipitium, inizia la corsa nel bosco, le mani di Durighel sono decise e veloci, il pezzo è trascinante, le chitarre sono almeno due ma potrebbero essere cento e noi corriamo in un bosco di montagna tra pietre, muschi e aghi di pino ghiacciati che sbattendoci sul viso ce lo segnano a sangue. Questa ipnotica musica ci spinge nel correre avanti, sempre più avanti.
A Tergo Lupi inizia con un ritmo incespicante, una cadenza antica e trascinante, note gravi e acute danzano per noi che ormai siamo persi nel centro di una foresta senza più punti di riferimento, non ci rimane che proseguire la ricerca guidati dall’istinto e dalle cadenze della chitarra.
Nella corsa siamo inciampati battendo la testa e ora riaperti gli occhi ci troviamo davanti l’erba del diavolo, nome comune della Datura Stramonium, e se fosse questa la chiave o la porta da varcare per procedere con il nostro viaggio? In questa terza traccia i suoni si dilatano, si fanno evanescenti e pur rimanendo con i piedi ben piantati nel sottobosco intraprendiamo una rischiosissima peregrinazione nel nostro inconscio ma anche in quello dei funghi, delle piante e delle loro radici, seguendone il magico intreccio nel sottosuolo pian piano diventiamo un po’ piante anche noi e questa musica ci culla in questa metamorfosi.

Rupicapra ha un ritmo deciso e impetuoso, il fingerpicking di Nuvola ora ci sembra fatato, le sue mani scivolano sulle corde trascinandoci in un’estasi fatta di suoni, echi e riverberi come se davvero ci trovassimo nella vibrante cassa di risonanza della chitarra di Durighel. In Artemisia il passo si fa sognante, poche note sovraincise alla chitarra acustica ci danno la sensazione del nostro aggirarci tra fitti cespugli di questa antichissima pianta che in una delle sue varianti è alla base dell’assenzio. Seguendo la pacata andatura di questa composizione lasciamo che i rami dell’artemisia ci accarezzino il viso in uno stato di lucida ebbrezza.
Vertigo, che è la settima traccia, pur nella sua breve durata ci dà un profondo senso di vertigine grazie alla bravura di Nuvola che velocissimo nella ripetizione e nelle variazioni ci fa desistere dal procedere e ci fa crollare a terra con un senso estatico di perdita. Edera poi è la composizione più pacificata sino a qui, arpeggi, accordi e brevi luminosissime melodie procedono esattamente come la pianta rampicante del titolo. Il tocco di Nuvola qui è pacificato e sognante come se finalmente riprendesse fiato dopo le magiche peripezie precedenti. Viene poi Venenum che nella sua minima durata (1’20”) riesce a regalarci moltissimo, come se d’improvviso tra i rami filtrasse un caldissimo sole questo pezzo ci inonda di luce e di suoni che ci parlano di un altrove, di una possibilità di rinascita, come se in questa selva dove abbiamo smarrito tutto, di colpo ritrovassimo qualcosa di antico che ci appartiene.

Viperae chiude questo preziosissimo lavoro, Pino Nuvola ci porta in un’ultima antica e viscerale danza, la chitarra si moltiplica ed è come se Nuvola avesse un numero indefinito di dita che scivolando su tutte le corde riescono a creare non solo musica ma qualcosa di tangibile, come se davvero fossimo qui finalmente riusciti a compiere il salto, a superare la porta dello spavento supremo. Ascoltando questo pezzo ci facciamo convincere che non si può più tornare indietro, bisogna saltare, questa musica ci comunica urgenza e ineluttabilità.

*da Storia della matita di Peter Handke