Paolo Monti – Di suoni, moti e persone

Già prima dell’ascolto e della recensione (recente) di We Were Never One macchinavo con i vertici di Dissipatio label una chiacchierata con l’uomo dietro al progetto The Star Pillow. Detto fatto, ecco qui quanto da noi prodotto.

SODAPOP: Salve Paolo, Ti scrivo sull’onda dell’ascolto di We Were Never One ma vorrei viaggiare tra i diversi ambiti sonori nei quali ti muovi. Seguo con interesse the Star Pillow dagli esordi ma mi ha sempre incuriosito la tua duttilità come musicista. Trovo che sia con Marco Rovelli, sia come the Star Pillow che come Daimon (ed immagino che anche con Bosco Sacro ci sarà un trait d’union simile) la tua cifra stilistica sia quella della densità e dell’intensità. Che storia e che ascolti ti hanno formato nei tuoi esordi e che rivolo sonori ti stanno seducendo al momento?
PAOLO MONTI: Ciao caro Vasco e grazie innanzitutto per il tuo interesse nel mio lavoro. Il binomio densità/intensità sicuramente vale per The Star Pillow, mio alias e progetto principale dal 2007; in parte per Daimon in cui con Simon e Nicola creiamo dinamiche da altre dimensioni; non con Marco Rovelli con cui tendo a ricercare un suono meno stratificato, visionario ed astrale bensì più terreno; per Bosco Sacro la situazione cambia, lì mi occupo di profondità del suono e del far tremare viscere e certezze.
Sono inoltre attivo da poco prima della pandemia come compositore per alcuni registi (documentari e film), istituzioni (Cineteca di Bologna) e TV (Rai). In questi ambiti divento un operaio di studio e metto le mie visioni al servizio della narrazione con strumenti svariati oltre che chitarra (synth, software, dronin, piano, drum machines).
Infine, porto avanti dal 2019 la collaborazione con la coreografa austriaca di danza contemporanea Karin Pauer e con il visual artist Aldo Giannotti. In queste performance mi occupo di comporre e suonare una colonna sonora che funziona come un muscolo sonoro accompagnando la fisicità dei performers e creando intensità e rilascio, oceani di emozioni ed empatia con cui entrano in contatto le persone, indagando quelle che sono le basi della relazione umana.
Tutti i miei progetti passati, presenti e futuri sono frutto di una formazione musicale assolutamente diy sia come musicista che come attitudine nel vivere tutto quel che faccio. Appena imbracciata la chitarra ho iniziato a suonare in una band punk-hard core per poi suonare rock psichedelico in un’altra e ancora, funky, diplomarmi in canto jazz al cpm, firmare per un publishing major con un gruppo indie con produttori e studi di serie a, aprirmi alla musica improvvisativa, noise, industrial, studiare i raga indiani, esplorare la musica elettronica in ogni sia forma partendo dalle reminiscenze techno dei rave e club techno che bazzicavo a fine anni 90, e molto altro. Mi è difficile fare nomi perché sarebbe riduttivo ma sicuramente sono stati fondamentali per me Ramones, Orbital, Miles Davis, GYBE, Mogwai, Massive Attack, Brian Eno, The Cure, Velvet Underground, Lou Reed e molti altri.
Al momento sto ascoltando Claudio Lolli, Marta Del Grandi, The Dillinger Escape Plane.

All’ascolto di We Were Never One non sentito la mancanza della sua controparte visuale, la performance di danza contemporanea diretta da Karin Pauer.

SP: Com’è nata la vostra collaborazione, che coinvolge anche Aldo Giannotti, che dura ormai da 3 anni? La decisione di stampare questo lavoro parte a monte o c’è stata una riflessione sulla valenza musicale che ti ha fatto propendere per questa possibilità?
PM: La soundtrack di We Were Never One mi è stata commissionata da Karin per l’omonima performance (in cui la suono dal vivo) che gode di una sua narrazione quasi cinematografica. La stessa soundtrack è infatti stata concepita esattamente come quella di un film e al contempo ha ragione di esistere anche come album a sé stante.
Conosco Aldo da parecchi anni e ci siamo sempre piaciuti per i rispettivi lavori promettendoci di collaborare. L’occasione giusta è arrivata quando ha iniziato a lavorare con Karin Pauer (già in Liquid Loft) alla performance This is Where We Draw The Line nel 2019. Lei stava cercando un compositore musicista per questo nuovo lavoro e dopo aver ascoltato l’LP di Symphony For An Intergalactic Brotherhood (Boring Machines 2018) da Aldo a Vienna, mi ha telefonato proponendomi il lavoro che fu poi coprodotto dal Donau Festival di Krems dove abbiamo fatto la prima per poi riproporlo in Austria, Romania e Italia.
È seguita poi We Were Never One della sola Karin con cui abbiamo esordito a Vienna marzo scorso. E a giugno la nuova performance “Looper” di nuovo insieme ad Aldo e Karin presentata in anteprima al Jerusalem Design Week a Gerusalemme.

SP: Com’è nata la collaborazione con Dissipatio di Nicola Quiriconi?
PM: Ho conosciuto Nicola Quiriconi nel 2012 in un tributo a John Cage a Lucca in cui entrambi suonavamo (lui con i VipCancro, progetto che continuo ad adorare). Siamo entrati in sintonia e qualche anno dopo abbiamo formato DAIMON insieme a Simon Balestrazzi. Nicola è una delle persone più illuminate che conosca per la sua visione nitida e personalissima di musica così come il grande senso estetico, qualità che ha riversato inevitabilmente nella sua label Dissipatio. Fin dalla sua creazione mi ha esternato l’interesse di volere The Star Pillow in catalogo e We Were Never One è stata l’occasione ideale.

SP: La musica strumentale si è sempre prestata ad essere titolata in maniera da poterla delineare, trasmettendogli una visione personale, sia esso ironico, visuale od immaginario. Il tuo precedente album solista, Music for sad headbangers, contiene il brano Bruno Martino is my Tom ArayaTom Araya era già stato l’Elvis per gli Zu in un loro album del 2005. Che tipo di legame vedi in questi tributi? Più in grande, che tipo di collegamento e di influenze rilevi tra la musica melodica d’antan, il trash metal e la tua musica? Sono ascolti che ti hanno formato e cresciuto in qualche modo? Li frequenti ancora? La malinconia è la felicità di essere tristi, diceva Victor Hugo. Questi headbangers si sono solo adattati ai ritmi più lenti oppure da incazzati si sono in qualche modo rassegnati?
PM: Grazie per la domanda, che aspettavo dal 2019 e sei il primo a farmi. Comprai The Way Of The Animal Powers ad un live degli Zu di parecchi anni fa al Tago Mago. Quel brano (ed omonima t-shirt) è il motivo della mia meta-citazione e devozione totale nei confronti degli Zu. Al tempo stesso una dedica e altrettanta devozione nei confronti di Bruno Martino, uno dei più grandi crooner e compositori di sempre. La sua potenza trascende stili e generi e nel mio modo di percepire e vivere la musica non mi viene difficile accostarlo per profondità ed intensità ad altri giganti come appunto il grande Tom Araya. Ovviamente ho ripreso dagli Zu, citandoli appunto, l’associazione di due nomi tanto distanti, apparentemente, come in un gioco di libere associazioni.
Tornando alla tua domanda più che di collegamento parlerei di tutta la musica che mi ha in qualche modo formato e che è parte del mio vivere la musica. Considerando che sono autodidatta e ho imparato a suonare sui dischi, capisci che sia consapevolmente che inconsciamente gli ascolti emergono ed influenzano, sempre. Ho ascoltato e ascolto moltissimo jazz, free, gli standard, ma anche metal, dai Black Sabbath ai Brutal Truth per dire.
Parlando del personaggio dell’Headbanger quella è proprio una visione mia, quasi filmica, di un personaggio di cui ho voluto narrare musicalmente l’aspetto più intimo, malinconico, intenso e darkettone. Personaggio che ha molto a che fare con me, inevitabilmente. L’incazzatura di cui parli è la rabbia e la rabbia non se ne va, è il motore immobile. Ci scendi a patti ed una volta conosciuta, accettata e canalizzata diventa addirittura risorsa.

SP: Vero è anche che l’immagine dell’headbanger ben si sposa a quella del chitarrista alle prese con un muro di suono, oppure ad uno shoegazer, tutti personaggi che in qualche modo potrebbero sposarsi ad un tuo immaginario. Se invece dovessi pensare al tuo futuro, credi ci sarà spazio anche per altro nel tuo percorso solista? Nella pagina discogs dedicata a the Star Pillow lo si descrive “…principalmente basato sulla ricerca di espressioni e relazioni fra suono, spazi ed emozioni umane. Potrà sembrare una domanda retorica e financo marzulliana ma…dopo anni di ricerca, che cosa credi di aver trovato?
PM: Il futuro è già presente. Già da qualche anno infatti sto lavorando a diversi progetti scelti proprio per andare al di là della solita zona di comfort. Lavorare per arte e danza contemporanea, così come per il cinema, fino ad arrivare ad un nuovo album che sto producendo a nome mio e di Marco Rovelli in cui rivisitiamo in punta di piedi canzoni e serenate d’amore della tradizione popolare Italiana con ospiti incredibili, mi da esattamente quella sensazione bella di libertà espressiva e non appartenenza a nessuna scena, pur bazzicandole tutte. Il nuovo anno vedrà anche la release del nuovo album di DAIMON, realizzato esclusivamente con synth analogici e digitali, un lavoro certosino e di lunga gestazione per palati fini. Per ultimo, ma non meno importante, il 2023 sarà anche l’anno dell’esordio di Bosco Sacro, band in cui suono con Giulia Parin Zecchin (Julinko), Francesco Vara e Luca Scotti (Tristan da Cunha). Anche qua la direzione sonora cambia radicalmente e affonda le radici nel doom, dream e trip-hop.
Tornando alla domanda, riguardo la “mission” di The Star Pillow, posso dire di avere compreso unicamente quanto certi temi, mood e melodie possano realmente toccare e stimolare la profondità delle persone, ponendosi anche come tramite per la relazione tra esse. E a me interessa la gente, l’essere sempre in viaggio e a contatto con culture differenti mi consente di sperimentare sul campo. Ti sto scrivendo adesso da un posto sperduto in alta Austria dove abbiamo appena concluso la prima di due date della performance con Karin, Arttu e Aldo “This is Where We Draw The Line”. Qua non è Vienna e la campagna austriaca è ben nota per la sua chiusura. Bene, è stato incredibile come il linguaggio creato da musica, movimenti e immagini sia diventato una chiave per entrare in relazione con la parte più intima di questa audience che ha interagito con grande empatia. C’era gente in stato di trance, chi piangeva e chi ballava senza fermarsi.
The Star Pillow è il mio laboratorio dove sperimento, attraverso il suono, la connessione tra percezione di sé, mondo interiore con l’altro. Dal 2007 ad oggi posso dire che la magia che arriva dallo scambio emotivo ed umano, continua a sorprendermi e ad essere di stimolo per andare avanti.

SP: Amen(ra)! Paolo, grazie mille per la bella chiacchiera…spero di riuscire a rivederti presto dal vivo (l’unica volta fu in realtà in occasione di un’indimenticabile esibizione al Centro Diurno di Massagno, in cui parte del pubblico definì la vostra opera come “prova di resistenza audio per le putrelle”). Hai già programmato passaggi al nord per caso? Aggiungi pure qualsiasi cosa tu voglia, grazie ancora!
PM: Ho già programmato qualcosa al nord, per ogni aggiornamento rimando alla mia pagina Facebook (in attesa del sito che dovrei riuscire a fare ad anno nuovo). Ci tengo a ringraziare di cuore te Vasco per l’interesse e il supporto.

Alla prossima!