Nicola Mazzocca esordisce a suo nome. Buffo da dire, per un musicista che da anni imperversa scaffali, studi e palchi con i suoi Klippa Kloppa (autori di almeno 17 dischi, sto aspettando notizie più precise da Nicola stesso), ma il proprio nome è il proprio nome quindi l’aspettativa è altissima. Chiedo venia, non sono un fine conoscitore dell’arte del nostro, ho un disco solo dei KK casertani ( Liberty, uscito nel 2019 su Snowdonia) e quindi mi concentrerò esclusivamente sulla mia conoscenza di Nicola e su questo disco, opera che segue la vita di un’ape durante una giornata nel Sud Italia.
Nicola dicevamo, nome reale di Prete Criminale, identità che spingerebbe a pensare ad un rapper Old School piuttosto che ad un fine strumentista.
Ci prende per mano attraverso sette brani suadenti e melliflui, senza mai essere stagnanti ne dolciastri. L’ape viaggia tra paesaggi più o meno mediterranei, per quanto ne so non si sposta più di una manciata di km ma la vista che si può avere beh, di sicuro la Sicilia, il Nord Africa, l’entroterra. Ingrediente che Nicola manteca con sapienza, ricordandomi per affinità elettive quella splendida congrega di anarchici olandesi che sono i The Ex. C’è molto in queste tracce, c’è un mondo che è sia pastorale che cibernetico, che di bug è pieno il cosmo, i nostri computer ed i nostri impianti stereo. Nicola ha mano leggera e dona un tocco tutto suo a questi paesaggi, baldanzoso in Naturally a girl, naturally a woman, fra odori Henry Cow e David Thomas and the two Pale Boys. Odori forti, acri, che Marisa (la nostra ape, una Apis Mellifera Linnaeus) attraversa spedita fino ad uno slargo, in cui chiacchiere e legni che battono la rendono insicura, conscia della propria fragilità. Ma non c’ê tempo, questa eterea contemplazione non può fermarla. Si carica allora di lustrini, balzando da un bit all’altro in Jerry learns his manners / lost world in uno scenario di favi lucenti che fanno capire chi sia la regina. Sinuosa, stilosa, tirata a lucido, una nuvola in discoteca. In Cities Stefano Costanzo suona insieme a Nicola con le sue percussioni, guidando Marisa in spettali vicoli buoi e disabitati, fino ad incontrare la bestia, il Child Molester che si vende benissimo, tiene il ritmo e viene raccontato nell’atmosfera al tempo stesso eterea e velocizzata, come un flashback in flash forward. Alla partenza di Una vita al secondo capisco, ricollegandomi al tocco di Nicola. C’è della Francia scintillante in questo senso, quasi che la nostra Marisa si fosse vista qualche video di Sebastien Tellier o dei Daft Punk transitando davanti a qualche negozio di elettronica. O forse è solamente l’unione cyborg della sua parte animale e cibernetica. Non lo sapremo mai, talmente fugace e variegata la sua esistenza, che termina spandendosi in un post-rock oleoso che a me ha ricordato addirittura i Salaryman. Minnie riunisce Nicola a Mariano Calazzo aka Draghen, altra anima Klippa Kloppa ed è l’ultimo brioso volo della nstra ape, che ebbra della vita si lascia ad una saltabeccante anarchia. Poi? Poi ci si concentra, con la title track, elaborazione e sunto del percorso di quella che è la vita di un ape e di quella che è la vita dell’opera. Clangori e battiti fra sintetico e primordiale, come un sound system in un favo, col Dio Pan ai flauti e le fatine a svolazzare portando l’idromele. Riportano in basso i bpm e l’atmosfera, con un rientro ad un ebbra sobrietà. Miele per le orecchie.