Era il 2002 quando conobbi l’artista Mario Pigozzo Favero. Guidava con piglio deciso i Valentina Dorme con il loro primo album ufficiale, Capelli Rame. Univano in maniera inusuale erotismo, cultura, verbosità e piglio rock. Immagini stupende quelle che si sono susseguite nei loro dischi fino al 2015, con l’ovvio titolo La Estinzione Naturale Di Tutte Le Cose.
Seguono anni suppongo di ritiro artistico, di vita professionale e privata (l’unico indizio è dato dal cumincato stampa, che ci avvisa della paternità del nostro, di due bimbi belli ed intelligenti), che ci portano al 2022 con un disco nuovo a proprio nome, Mi commuovo se vuoi, avvalendosi di ottimi e misurati collaboratori. Innanzitutto i Non Voglio Che Clara, semplicemente una delle bands più eleganti e sinuose della musica italiana tutta (roba che se fossimo nella perfida Albione sarebbero i Divine Comedy tanto per dare un tono all’ambiente, Martino Cuman come produttore e tutto il roster a colorare qua e la). Poi Giulio Ragno Favero al mastering, i classici Arrigo Pietrobon e Sebastiano Crocetta ad oboe e pianoforte. Chiudiamo con Marta Cannuscio, Diego Dal Bon, Francesco Ivone e Guido Berton. Lo so, strano citare tutti i nomi dei musicisti coinvolti ma quando il risultato è cosi coeso il merito è dell’ideatore, anche e soprattutto per la scelta dei collaboratori.
Bando alle ciance, spazio al narratore che ci mostra subito di che pasta è fatto. Una doppietta spettacolare, prima una lucida visione, onesta e disillusa, di una fine annunciata. Uomo di una certa età, post-separazione, due figli a carico, Pornostar, ex moglie in tribunale “…mi piaceva la disillusione, quegli occhioni blu, non nego che ogni tanto si giaceva insieme.” su un tappeto sintetico e puntuale sopra il quale lascia intravedere la strada sulla quale si è formato. Poi Ai Defilati, salmodica dedica al mondo ed ai suoi abitanti che tutti dovrebbero ascoltare e biascicare soli per strada, con il rischio di venir presi per pazzi (menzione per la tromba di Francesco Ivone che svicola per tutto l’incipit, da crepacuore). Poi si sale di tuono, con una Le Preghiere Della Sera che sembra trasportare Rino Gaetano in Veneto con un’asperità da sagrato. Con Latakia invece si torna quasi ad una versione puntuta della bossa nova dove ritorna il tema dell’uomo di una certa età “fra i 50 e i 51 non è facile incontrare uno specchio, regalarsi un chissà. Chi può fa, chi non può desidera, una piuma di colibrì dentro alla tempesta.”. Ecco, questo tema mi lascia vagamente perplesso, trovando la penna del nostro affilata e sagace, la personalità innegabile, me lo immagino carismatico e di successo, con milioni di copie vendute e schiere di ammiratori. Ok, ESAME DI REALTÀ, scusatemi.
“L’odio ha i suoi diritti, la sua sacralità, le sue abitudini la sua vanità, arriva in genere nel tardo pomeriggio, esce la sera e torna, se gli va.”
Il livello del disco rimane alto per tutta la sua durata, senza trovare una caduta di tono in 13 tracce. Il nostro istrione rimane saldo al timone mentre sotto ed attorno a lui i musicisti giocano con musichine d’antan come in Uno dei tanto Orfei, o con i toni gravi e pianistici impreziositi dal dialetto di El Sbrego. L’Inferno Siamo Noi è onesta, lancinante e tocca ascoltarla. E La Nave Va, per riprendere il titolo di un brano, fino al penultimo brano, Il Metro Del Sarto, dove il nostro si mette il cuore in mano e ci racconta il suo amore e la loro pace quassi fosse di fronte a lei e noi a spiarlo, disturbandone l’intimità. Troppa grazia, chiudiamola con L’Orco Di Sigurtà, dove ci si rivolge direttamente ai nostri sogni, scacciandone il babau a suon di voce.
Che dire? Un disco pregno di parole e di storie, sostenuto da un tessuto sonoro curioso ed intrigante, con un’enfasi sorprendente ed un tessuto elegante e rigoroso.
Una volta dischi del genere venivano candidati a premi prestigiosi ed i loro autori defiti maesti di una scuola regionale. Qui, a naso, non succederà nulla di tutto ciò, mondo gramo, ma da una ventina d’anni si tira dritto su livelli di eccelllenza, che si sappia…