Louis Laurain – Le Bargy (Three Four, 2023)

Trombettista parigino, Louis Laurain nel 2020 inizia a concepire la sua musica in relazione ad ambienti esterni, più che alle canoniche location adibite agli spettacoli. Cerca luoghi che possano esprimere la sua idea di acustica, finendo per concepire, con Le Bargy, un lavoro dove presentare sul medesimo livello musica ed ambiente dove questa musica sia prodotta. Dopo circa un anno di ricerche e sopralluoghi, nella primavera del 2021 viene aiutato da Olga Kokcharova, una sound artist di base a Ginevra, per le registrazioni. Ulteriore pausa, per fissare un’altra sessione a luglio 2022. Il primo rimando che sovviene è ovviamente il lavoro di Ilia Belorukov, A Fluteophone In The Forest. Poi però ci penso e mi accorgo di quanto superficiale possa essere un tale accostamento.
Diversi i musicisti, diversi gli strumenti, diversi gli ambienti. L’unica cosa che potrebbe accumularli sono polmon e sensibilità. Passiamo oltre quindi, entrando in un viaggio fra i tasti, i sassi ed i versi che Louis riesce a rendere incredibilmente dinamico facendoci realmente sentire il vento, il freddo frizzante dell’alta quota, il ritmo. Dans le Pierre sfrigola dal loro movimento, così come Aux cascades risente ovviamente dei getti idrici. Ma il tutto è meno didascalico di quel che può sembrare inizialmente, sorpattutto per l’accortezza del musicista a calarsi in un territorio ed in un insieme senza volerne essere per forza protagonista. In questo modo Le Bargy si trasforma realmente in un lavoro coeso e classico, fra la forza di una tromba classica e bellissima ed i suoni di un mondo che conosciamo da millenni e che continua in tutti i modi a sorprenderci. La Face Aux Yeux Noirs ci mette ovviamente in crisi, non riuscendo a definire i volatili che emettano i seguenti suoni, facendo andare ovviamente i nostri pensieri ad Økapi ed ad Olivier Messiæn, a dipanarsi per l’aria beccheggiando al Lago Benito, oppure le mucche al pascolo dello Chalet Neuf. Le Bargy è un viaggio che ci fa ridefinire il nostro senso dell’ascolto ed i nostri interventi come esseri umani e come musicisti negli ambienti. Il suonare insieme alle mucche potrebbe realmente portare a risultati incredibili, di sicuro all’ascolto ma credo anche all’umore di entrambe le parti in causa, ad uscirne è infatti una caracollante giga a rallentatore, a rotta di tromba e muggiti che sembra poter crollare da un momento all’altro ma non molla mai. Ne La Danse Des Sonneurs fiumi, batraci e suoni che diresti di archi ad ornare il cinguettio sottostante. Ci si sente quasi come il personaggio de Il volo di Osvaldo di Thomas Baas, dove il personaggio, alla ricerca del suo uccellino perduto, si accorge e tocca con mano, forse per la prima volta nella sua vita, quel che succede al di fuori di Parigi.
Corvi ed acque scoscese nelle Grotte di Montarquis, in un antro buio e teso, per concludere con un pascolo dove rollare concitato di campane e maiali tengono in alto l’attenzione, evitando un docile rilassamento nello stile di certa smielata new age. Questo ritorno alla natura mi sembra piuttosto in linea con il secondo pensiero di Jean-Jacqes Rousseau e con il concetto di armonia fra i diversi mondi. Mondi, come quelli in cui louis Laurain è riuscito a calarsi con fare delicato ed onesto, lasciandoci a bocca aperta ed ad orecchie curiose di fronte alle evoluzioni sonore del quadro.
Plauso anche alla splendida copertina, che, grazie alla presenza delle sezioni per stampa in quadricromia, mi riporta personalmente a vite passate.