La lunghezza non è tutto #9

Our Song è il nuovo singolo di Shamir, arrivato in casa Kill Rock Star con il suo nono album in otto anni. Voce indolente ed acuta, intrecci dinoccolati di chitarra che sanno di arabeschi e di spleen, la sensazione che siamo arrivati ad una delle possibili quadrature del cerchio fra melodia, rumore e masticabilità pop. Se tutto Homo Anxietatem saprà rimanere su questi livelli di sicuro parleremo del disco come una delle sorprese estive, per ora sono solo 4:18 che ci teniamo stretti mandandoli a ripetizione.

Tofusmell è l’alter ego artistico di Rae Chen, da Orlando, Florida. 5 anni di carriera alle spalle fra ep e tracce singole, visitate la sua pagina Bandcamp per saggiarne qualcuna. Con Humor si potrebbe forse mettere un po’ di ordine, utilizzandolo come primo mattone per. Un quarto d’ora abbondante per sei brani in cui i propri tormenti ed i propri diari vengono messi in vista fra spleen, sostanza melodica ed estrema naturalezza. Non troverete sovrastrutture qui, solo un’essere umano, una chitarra, delle storie. Musica che, dagli anni ‘90 inizio a prendere piede in una sorta di apertura umorale collettiva, si ritrova qui, aperta e toccante, oggi come allora. Di suo Tofusmell ci mette personalità, penna, mani e voci fantastiche. Ne adorerete ogni aspetto, anche il suo odore, fidatevi.

Da settimane ormai al Centro Diurno dove lavoro abbiamo cercato l’ispirazione per completare l’elenco degli Stati USA (ce ne mancavano due Virginia Maria!). Considerando i BAU da Teramo però potremmo piazzarci l’Abruzzo però! Il giro è quello di Inutili e Goodbye Boozy ed a produrre c’è, e non sorprende, Aagoo Records.
10” per 11 brani che riecheggiano di Cows, Rancho de la Luna e cuginanza promiscua. Tiro sporco, volumi liberi per un dischetto orgogliosamente fuori dal tempo. Registrato due anni fa vede solo ora la luce ma essendo la cosa più lontana dal concetto di attualità e trend non ce ne può sbattere di meno.
Grow & Glow più che semplice Rock & Roll, cani rabbiosi del cowpunk, kicking’ass from Teramo, Abruzzo, USA morherfucker! A chiudere la giusta dedica all’inventore del Sandwich, Lord Montagu, idea che avemmo come Nufenen un secolo fa senza mai concretizzarla, riempie il cuore veder elogiato il roiame inglese in maniera tanti sozza, ben fatto! Poi è movenza di coda per due minuti e mezzo ma il tutto è già stato detto, ciao, miao, BAU.

Quando Karl Heinz Stock Hatso chiama non posso che rispondere. Lambrini Girls da Brighton urlano come ossesse cresciute a rabbia e legittima rabbia. Poi masticano chewing gum, conoscono la storia e decidono bellamente di battersene la qualunque su presenza e suoni giusti. Pestano come matrone incazzate per un quarto d’ora abbondante, unendo punk, rock’n’roll, caverne di bassi e pezzi da paura. Non solo valgono il triplo degli ultimi tre album dei QTSA, queste pigliano direttamente vacche e tori del Rancho de la Luna per la coda facendole arrivare oltre manica in malo modo! You’re Welcome, ep con un bello stronzo che va in fiamme in copertina spinge al massimo, di loro non di nulla, se non che sembrano in cento, hanno una pronuncia fantastica e non vedo l’ora di vederle dal vivo, mandato tutto in orbita.

Delilah Holliday, da North London. Uscita insieme alla sorella dalle Skinny Girl Diet si ritrova solista in un bizzarro r’n’b electro ed una voce da paura. Vitale, intensa, sporca il giusto su produzioni che riescono a catturarne il fascino senza coprirla. Musica parecchio vicina al concetto di rock’n’roll e di Torch Songs pur essendo tutt’altro, profuma di rientri all’alba dopo notti brave, lascia intravedere potenzialità enormi. Scavando oltre alle tracce qui contenute si intravede un senso di apertura mentale e di libertà artistica che potrà permetterle grandissime cose, potrei giurarci.

The Jimmys da Kreuzlingen, pura Svizzera tedesca, con il loro Segglpunk Volume 1 ci regalano un paio di sberle sporche, movimentate e freschissime. 7 brani, durata tra la cinquantina di secondi ed i due minuti e mezzo, Luke Lover e Deebite Ramone dietro a questo progetto, chitarra, batteria e voci con un attitudine assolutamente fenomenale. La Svizzera sta costruendo anno dopo anno una mappa di deboscia assolutamente irresistibile dove, ai soliti noti (per me su tutti Leopardo e Sun Cousto) si stanno aggiungendo man mano delle gran belle chicche. Qui, a casa Mini Distro, già citata nel nostro ultimo intervento sulle onde corte per i Letterbox, troviamo libertà stilistica, punkettone come Playing vs. Insect, roba più street a braghe calate come Bloodshot Eyes per un progetto rinfocolato da un’etichetta che potrebbe essere un vero e proprio brodo di coltura. Io addirittura ci sento dei Modern Lovers più zozzi, sarà il caldo, non so che altro dirvi proprio…

Leather Parisi con il suo esorcismo dub ci guida per un percorso di realtà reiterata dove, dopo il COVID, nulla è cambiato ed ognuno è tornato a coltivare il proprio sterile orticello. Avere altre speranze era francamente molto, comunque prendiamo atto della disillusione e se per farlo dobbiamo sciropparci questa macchina dub. Dub certo, ma anche staffilate acide come Guance di sale, tanto sapide da chiedersi se non sia un metodo per condire le ferite lasciandoci in preda ai lamenti, guidati da una voce che arriva direttamente dall’oltretomba. Il suono si è incancrenito e ci ricorda quanto breve sia il passaggio dalla Jamaica allo sfacelo, riducendosi sempre più in ondate di grigiume come Social Monogamy. Mantici di suono oscuro e tagliente come Vox Arcana, oppure bulbosi e narcolettici come Opal Grim. La Parisi riesce ad andare in profondità nella sua opera, calando il manto scuro sopra il nostro mondo, chiudendo con una congrega di monaci che ce la cantano, in una Post Noisem Domini che ci conferma come la sofferenza ancora non sia finita.

Son of Buzzi dello zurighese Sebastian Bischoff ci offre un giro nella Repubblica Ceca, ad ammazzarsi di canne per la Stoned to Death Records. Con In schwarze stücke zerbrochen si gioca al limitare della musica ambientale, rintocchi di gong, stridii spaziali ed un giro minimale di chitarra che resiste per non essere inghiottito dal rumore. Non cacofonico ma esplicito e sorprendentemente caldo. Al chetarsi sembra una versione 32 bits di una musica folk, commistione fra acustica, digitale e rumoristica. La seconda traccia del 7”, omonima alla prima, rintocca di chitarra sopra la città, con il traffico, il fiume e gli uccellini. Sono attimi, segnali che vanno a scomparire lasciando la chitarra di Son of Buzzi sola, magica, stagliata nel mondo.

A settembre tornerà Devendra Banhart che, prodotto dalla gallese Cate Le Bon, troviamo ora con il singolo Twin. Atmosfere dark, sintetiche ed orientali, voci raddoppiate e triplicate che svelano un nuovo lato dell’artista. Brano e videoclip tradiscono riferimenti agli anni ‘80, sull’onda China Girl bowiana per una trasformazione che ha dello stupefacente e che si dimostra perfettamente in linea con la vocalità di Devendra. Colpaccio! Vedremo se l’album seguirà questa linea o se invece si rientrerà nei territori canonici, ma questo brano ce lo teniamo stretto…

Yes It’s Ananias, il progetto di Nicholas Streichenberg, pianista e cappellaio matto, sta progettando qualcosa. Per ora abbiamo in mano due singoli, Arrivinterval, Pt. 2 e Departitura, Pt. 2 (Leaving Hirzel Palace) dove la verve romantica del musicista svizzero rivela tutta la sua emozione in soliloqui calmi, posati e setosi che ci avvolgono come spire di una musa lontana. Ricamano immagini di neve, di legna e di struggimenti sudati. Sembra di vederlo, testa che ondeggia leggermente ed una magia che pervade l’aria, frutto di conoscenze guadagnate vendendo la propria anima ad un diavolo che muove magicamente le sue dita. Se amate i velluti, i bicchieri importanti, gli alcolici suadenti e la magia amerete Yes, It’s Ananias. Uno dei pianisti più inquieti ed evocativi di questi anni sta tornando, non ve lo fate sfuggire.