Hibagon – Polyposmic (Taxi Driver, 2019)

Matematica impossibile, cosmica e con derive metalliche neanche troppo mascherate. Album totalmente strumentale per questo duo bergamasco interamente dedito ai tempi dispari e al sanguinolento levare della batteria. E quindi devozione totale alla tecnica, all’elaborazione dei pezzi derivata dall’ improvvisazione e dalle continue prove. Anima jazz gelida come ghiaccio secco e un mood alla Dllinger Escape Plan che però non deflagra mai, ma nell’eterna rincorsa chitarra/batteria pare sempre sull’orlo del collasso nervoso. Un album complesso quindi, di non facile assimilazione, ma che si schiude nei ripetuti ascolti e nella reiterata attenzione verso il fraseggio dei due strumenti più importanti degli ultimi cento anni. Con buona pace dei fans di Dream Theatre e DragonForce, ma anche di quelli di Eugene Chadbourne e Derek Bailey. Per certi versi mi tornano alla memorie i compianti Psychofagist dei quali però qui manca la furia cieca al limite del nonsense. E per la follia, è ben ricordare, abbiam sempre avuto un debole e un orecchio indulgente. Aspettiamoli alla prossima prova per ulteriori sviluppi.