In ogni dieta estiva che si rispetti le linee guida dell’indie (quel mondo mutuato dal diy e dedito al favorire la scoperta di splendidi outsiders musicali) consigliano the freddi senza zucchero di vario genere e l’ascolto di qualche disco dei padri. Oggi abbiamo ibisco, melograno e l’ennesimo disco mai imprescindibile ma sempre necessario degli Half Japanese, creatura a più braccia facente riferimento a Jad Fair, partita giusto 49 anni fa con Not Fade Away, che volete che sia?
20esimo disco, qui Jad si accompagna a John Sluggett, Gilles-Vincent Rieder, Mick Hobbs e Jason Willett riuscendo ancora una volta a farci rollare su una zattera in balia delle onde, fra squittii di fiati, chitarrine sorprendentemente variegate e la sua splendida e caratteristica voce. Sentite True Love will save the day se non mi credete, ritmo e freschezza che riportano alla brezza marina ed alle percussioni isolane. Registrato fra Baltimora, Bloomington, la francese Donneville e la spagnola Tarragona si dimostra disco groovey e coeso, con un entusiasmo trascinante. Si prenda la programmatica Jump into love, distorsioni, pianoforte, percussioni sparse e preparazione alle avventure sentimentali. Jad gioca con la tensione, creando impalcature dalle quali recitare il proprio ruolo che a tratti sembra quello dell’ imbonitore, come nella motivazionale the Answer is yes. L’impressione con Half Japanese è quello di un brillante caos controllato, grazie ad uno storytelling ed un enfasi che riesce a declinare le canzoni in piccoli esempi di genere, come in una This Isn’t Funny da cardiopalma per una situazione che è andata troppo oltre, od il dolce naufragare di Step Inside ed Here She Comes per un finale di disco che si fa dolente e spettrale, fino alla conclusiva Zombie World, che ci consegna un autore ancora in grado di turbare i nostri sogni e condire le nostre vite.