Gopota (delinquente di basso livello in russo) è uno di quei progetti che non fa sconti e apparentemente con poca fatica tiene fede al titolo scelto per l’album: giocando con suoni analogici e voci orrendamente distorte ai confini fra power-noise e post-industrial mettere in scena la paura sembrerebbe quanto di più facile e scontato ci sia; tuttavia non è tutto rumore quello che sfrigola e il discorso è più complesso di quello che pare. Solo a un primo ascolto quello di questo duo italo-russo vi parrà noise sordo e ottuso: calandovi nel suono percepirete chiaramente l’emergere di strutture che cercano di dar ordine al rumore, di imbrigliarlo e disciplinarlo. Non sempre la missione riesce, è inevitabile, ma il senso profondo di questa lotta a tratti sovrumana, che non porta ad alcuna catarsi nè redenzione, è intatto e tangibile lungo gli oltre 40 minuti di Knots Of Fear. Non c’è quindi da sorprendersi se, cosa insolita per dischi del genere, si possono segnalare alcune tracce che si distinguono grazie a degli elementi caratterizzanti: è il caso del brano eponimo dalle cadenze maestose da suprematismo sovietico che a tratti possono ricordare gli MZ 412, Agony Of A Pipe Dream, attraversato da un suono (un allarme? Una sirena industriale?) che ci guida nella tempesta d’acciaio, dall’avanzare meccanico di Online Periphery, dal mantra noise di Long Road In The Dunes chiuso da una voce femminile che è un’apparizione improvvisa e (forse) salvifica. Ora, non crediate che Knots Of Fear non attenti alla salute delle vostre orecchie, solo che non si tratta della solita brutale dimostrazione di nichilismo sonoro, ma di un lavoro pensato e – nei limiti di un genere comunque ostico – comunicativo; un disco che sa chiaramente in che spazio sonoro andarsi a collocare e lo fa in modo personale.