Sei secondi di silenzio aprono Effacing colours, barely dancing di Giuseppe Ielasi.
Chitarra elettrica e silenzio sono i protagonisti di quest’opera che riesce a creare un equilibrio quasi perfetto tra pieni e vuoti, suoni acuti e note gravi, tra rumore e silenzio. Poche note tenute lunghe fino al loro naturale svanire, questo è l’inizio e poi armonici e lenti fraseggi procedono secondo una logica sfuggente e intrigante allo stesso tempo.
Giuseppe Ielasi è musicista e mastering engineer, due vite sonore strettamente legate e comunicanti tra loro, lavorare sulle registrazioni originali di capolavori assoluti della musica contemporanea mettendone in evidenza il suono non può che influenzare profondamente il suo fare e pensare musica. In realtà le vite sonore di Ielasi sono addirittura tre, la sua Senufo Editions ha pubblicato lavori di ricerca di musicisti contemporanei e di Ielasi stesso. Ascoltando questa lunga composizione ci immergiamo nei suoni di chi non solo sa suonare con grande sensibilità e attenzione ma anche di chi sa ascoltare con altrettanta profondità. Le informazioni che accompagnano l’opera sono volutamente minime: Solo electric guitar, summer 2023, e a noi non serve davvero altro, è chiaro l’intento del musicista, questa opera per sola chitarra registrata d’estate deve parlare da sola senza nessuna sovrastruttura. L’opera è data, sta a noi il piacere dell’ascolto e la possibilità di trovare percorsi e passaggi verso qualcos’altro, la musica per me è essenzialmente questo, un ponte verso altri suoni/mondi.
Effacing Colours, barely dancing è fatto di suoni che brillano come fossero ultimi disperati lampi di stelle morenti, questo disco ha un suo spazio creato grazie alla sapiente capacità di Ielasi nel registrare il suono e di restituirlo su un supporto perché questo possa trascendere il supporto stesso. Dopo pochi secondi di ascolto si sente l’esigenza di far risuonare questa musica in uno spazio, ad alto volume per cogliere tutte le sfumature e far sì che i suoni rimbalzino e si muovano nello spazio in espansione e su di noi. A 3’23” abbiamo il primo evidente cambio con un arpeggio reiterato fino a che questa ripetizione trova un suo naturale sviluppo su altre corde e armonici anch’essi ripetuti verso una matericità del suono. Attorno al sesto minuto abbiamo un lungo silenzio che sempre più ci fa scendere in profondità, ora ci muoviamo tra due piani, uno fatto da note e l’altro dal loro riverbero in uno spazio immaginario ma anche fisico.
Ielasi con i silenzi rumorosi della sua composizione ci ricorda in modo poetico che il silenzio non esiste, siamo trascinati da questa musica che oramai non ci importa più sapere quando è iniziata e quando finirà perché la sua essenza è il qui e adesso. Il riverbero di questi suoni è essenziale quanto i suoni stessi, il ribaltamento tra nota e sua riverberazione nello spazio ci dice che anche la realtà non esiste, ma esistono infinite realtà, infiniti suoni ed infiniti modi di percepire il suono. Queste strutture che potrebbero sembrare semplici ad un primo ascolto sono invece difficili perché sono del mondo del non detto, del non suonato, si muovono nel territorio indeterminato dell’assenza portandoci in uno stato di quieta contemplazione. L’opera che dura 32’32” e ha una sua logica interna che a tratti ci sembra di cogliere ma subito tutto prende un’altra direzione, quello che ci sembrava armonioso e pacificato diviene di colpo spigoloso e dissonante. Ogni suono ci sembra necessario e definitivo, gli armonici come il suono delle dita che scivolano sulle corde che altrove stonerebbero qui sono parte viva e significativa della composizione.
Le lunghe pause consentono a noi ma soprattutto alla musica di guardarsi/ci attorno, l’opera diviene un dispositivo di conoscenza meditativa, un po’ come nel cinema e nella fotografia in bianco e nero questa musica ci porta all’essenza primordiale del suono e dello spazio, ne delinea le forme permettendoci di abitare questa musica, di far sì che i nostri movimenti e il nostro respiro in maniera inconscia vengano trascinati fuori dalla quotidianità.
Questa musica è come se vivesse e si muovesse tra la Loggia Nera e la Loggia Bianca di Twin Peaks, in una dimensione in cui ci muoviamo affascinati, appagati, inquieti e a tratti impauriti da avvenimenti e visioni familiari e dissonanti allo stesso tempo. Negli ultimi minuti della composizione i riverberi sono sempre più densi e lunghi, le note finali poi si allontanano verso un altro spazio, la chitarra sembra essersi spostata in una stanza più lontana e ci attira verso di sé promettendoci un nuovo inizio.
Nell’oscurità di un futuro passato il mago desidera vedere.
Un uomo canta una canzone tra questo mondo e l’altro.
Fuoco, cammina con me.*
*da Twin Peaks di David Lynch