Elena M. Rosa Lavita – Dismembering A Dead Swan (Industrial Ölocaust, 2023)

Elena M. Rosa La Vita rielabora e smembra l’opera più illustre di Pëtr Il’ič Čajkovsij, quel Lago dei Cigni che 146 anni fa faceva la sua prima uscita al Bol’soj di Mosca. Lo fa tramite un carillon del tema principale, spezzato e rimontato grazie alla formula del cadavre exquis, celebre metodo surrealista applicabile ad ogni forma creativa. Ad uscirne sono sei tracce create con basso, melodica ed un mini sound-table, oltre ad oggetti e rumori vari. Ne fuoriesce un suono arcaico, fluido e romantico, che sembra uscito dalle più inquietanti macchine sonore d’altritempi, tra rintocchi ed oscuri tappeti sonori, fischi e lenti battiti che costruiscono un ambiente dimesso e drammatico. Il basso di Elena gonfia gli antri nei quali si muove, creando una sorta di botta e risposta fra i toni più squillanti ed i rimbrotti di corde e frequenze emesse dalle quattro corde come nell’agghiacciante The Eye. È bizzarro questo disco, pur pensando al suo percorso di genesi ed al suo materiale di partenza: sembra del materiale fatto risuonare in una stanza vuota e noi, i passanti, a raccoglierne le vesta un secolo e mezzo più tardi The Heart, il cuore, sofferenza e languore, come fossero gli ultimi passaggi di energia fra un vaso sanguigno e l’altro, le ultime stille d’amore. Quelli di Elena sono tocchi delicati, aggiustamenti di cigolii come in The Feathers alla quale non sembra mancare nulla, se non una luce altalenante, per farci di nuovo accapponare la pelle. La scelta di non sovraccaricare ambienti che sarebbero facilmente grotteschi è sicuramente il punto di forza di un lavoro che entusiasma ed ipnotizza nella sua interezza, al netto di una The Death che, forse, si dilunga troppo nel suo indugiare. Ma, del resto, è l’unica condizione a protrarsi all’infinito, quindi lo smembramento può definirsi completo e riuscito. Plauso ad Industrial Ölocaust, che raddoppia lo splendore di Sokushinbutsu Project e ci apre porte, mentali e fisiche.