Emil Amos – Zone Black (Drag City, 2023)

Poi, d’improvviso, il buio più sexy del mondo.
Emil Amos, già attivo come Holy Sons e come batteristi di progetti del calibro di OM e Grails si cimenta, con questa opera, in un percorso nel mondo di fantomatiche registrazioni da score TV a tarda notte, B-movies e misteriose identità. L’impressione è quella di un volo libero verso porti affascinanti ed evocativi, dove il twang delle chitarre si mescola ai fumi dell’incenso ed alla rugiada mattutina. Il costume adamitico nella splendida copertina ci suggerisce sonorizzazioni piuttosto piccanti ed in effetti il groove che si sviluppa in Bad Night At Cowboys parrebbe parecchio adatto a lasciare gli speroni sotto al letto tenendo per se soltanto il lazo. Nebbia calda, luci e fumo ad avvolgere il tutto. La bassa battuta di Personal Prison II riesce ad evocare nel medesimo tempo espiazione e coolness, cifra stilistica che sembra essere il leit motif del disco. L’oscurità infiamma in un secondo Red Palms, mentre Jealous Gods è una strumentale sulla quale Tricky avrebbe fatto sfracelli qualche anno fa. Gli sketches di Zone Black sembrano un feroce zapping sulle reti televisive meno canoniche, con la speranza, prima o poi, di trovare una Debbie Harry ad allungare la propria mano verso di noi. L’ambiente è quello buio e livido, sassofoni ad ornare i filamenti di una Zone Bleu che riuscirebbe a far ricominciare a fumare chi si fosse staccato dal vizio da anni. Basterebbe solo la luce giusta, una finestra e tutto acquisterebbe di nuovo un senso. Emil Amos è dannatamente stiloso, si fatica a capire se questo album sia un enorme gioco o se il suo struggimento sia reale, quel che è certo è che noi ci siamo cascati con tutte le scarpe e difficilmente riusciremo ad uscire da questa dolce e densa oscurità, questa Zone Black…