Davide Cedolin – On The Pleasure with Trees (autoprodotto, 2023)

Inizio ad ascoltare questo disco appena appreso della morte di due grandi musicisti di questi anni, figure centrali e laterali al medesimo tempo: Robbie Robertson e Sixtoo Rodriguez. Entrare in un mondo arcaico e naturale come quello costruito ancora una volta dal ligure Davide Cedolin, che più di una volta ho trattato su queste pagine, mi sembra un buon viatico per pensare a cose come il talento, il bisogno di espressione, l’eredità. On the Pleasure with Trees assumerà una forma fisica di disco più avanti, a detta del suo autore è probabile che lo faccia con l’inserimento di altri brani, fattore che fa gioco con il sentimento che mi spinge ad ascoltarlo, quello di un flusso libero di suono. C’è la montagna, i boschi ma soprattutto lo scorrere dell’acqua nell’iniziale Buried Waltz, in cui l’insistenza sulle corde ci trasmette leggerezza e carico al medesimo tempo, come una natura che può assumere diverse forme per continuare a convivere con noi. Ci sono le presenze, la sensazione di non essere mai soli e di non avere il controllo sull’ambiente di The Spirits Came From The Hills dove con mano leggera si insiste su un tasto di lieve paura e rispetto di quanto ci sia oscuro. I Suoni sembrano guidati da un vento, evocano letture umane di casualità e libertà ma sono semplicemente informazioni scritte in una lingua che non riconosciamo e che, fortunatamente, ci sarà per sempre oscura. In Call Of The North East le cicale e le corde si scontrano contro una luce che sembra sospendere la musica in una bolla magica, quasi una rappresentazione studiata di un microcosmo fatato. La capacità di Davide Cedolin è quella di trasportarci in un contesto sempre simile ma in continuo movimento, come l’ennesima passeggiata nel bosco che si trasforma in un’esperienza nuova ogni volta. Un’esperienza quasi sinestetica, con il sentore dei tizzoni ardenti di un braciere, dell’umidità sulle foglie e sugli odori ed i colori che si svelano dopo ogni giro armonico, dopo ogni cambio di direzione, sacco in spalla. In questo senso Amodal Roots può essere presa come fulcro esplicativo, che tutto abbraccia e tutto coinvolge, in un’unione fra uomo, musica e natura che ritrova un suo equilibrio con cinguetti di sottobosco che ornano dei brevi bordoni reiterati come bramiti di sirene. Si conclude seduti al fiume, senza aspettare nessun cadavere di nemico, piuttosto offrendogli pane e vino, in un’eterna comunione sonora. Last Chills At The River ci lascia senza nulla fra le mani se non un sentore di felicità e gioia per aver passato una splendida mezz’ora di viaggio, con la sicurezza che lassù, nei monti liguri, un musicista sta lasciando tracce importanti nella musica, traccia dopo traccia.