Babau – Papalagi (Arte Tetra/Narvalo, 2015)

Arte Tetra, piccola etichetta marchigiana devota al nastro magnetico (ha in catalogo non solo cassette ma anche un VHS) si presenta a noi con la seconda uscita dei Babau, che segue l’EP d’esordio Tapes From The Bedroom. Loro, i Babau, sono due dei quattro membri degli ottimi Tetuan, nonché 100% dei boss dell’Arte Tetra. Tutto in famiglia, insomma.
Partiti come gruppo ambient/post-rock affascinato dalle sonorità exotiche,i due marchigiani sono andati via via arricchendo il proprio bagaglio culturale e vedendo la varietà contenuta in Papalagi –frutto anche dell’apporto di alcuni collaboratori- direi che hanno portato a termine il loro giro del mondo. Qui dentro, in soli 25 minuti, ci trovate davvero di tutto, anche all’interno di un unico brano. Si prenda Faus, che parte come un’oscura cerimonia crowleyana (ma forse la voce che si sente è di un “normale” stregone) e poi diventa un ritmatissima cantilena voodoo che onestamente si fa fatica a prendere sul serio ma non dimeno risulta trascinante e d’effetto. Mi verrebbe da accostarli ai Lourdes Rebels, che abbiano recensito di recente, ma questi sono ancora più apolidi, meno rigorosi nel combinare le influenze e decisamente scanzonati: nei loro pezzi si è ovunque e in nessun luogo allo stesso tempo, persi in mezzo ai canti di chissà quale popolazione e alle chitarre wah-wah (Ila No Kuaili) o sulle ali di una chitarra placidamente post-rock  che finisce per girare su melodie orientaleggianti (Palo Majombe). Per godersi Papalagi non c’è da pensare troppo, il suo intento non è essere un saggio etnografico, bisogna invece accettare di farsi disorientare da una musica che è eccentrica nel senso più pieno del termine.