Aspec(t) – Abattoir (Nuun, 2011)

Aspect_-_abattoir

Arrivati al terzo album il duo napoletano degli Aspec(t) (gente di A Spirale, SEC_ e Weltraum) e dopo un titolo in spagnolo e uno inglese optano stavolta per il francese, omaggio forse all’etichetta che li produce. Abattoir vuol dire macello e ascoltando il disco dobbiamo ammettere che nessun altro nome poteva essere più adatto.
Non fatevi fuorviare dall’uso comunemente negativo che si fa della parola, questa non è bassa macelleria ma fredda violenza che disseziona chirurgicamente il flusso sonoro e lo ricompone in blocchi squadrati, di concretezza fisica, spaziale: tentando un paragone col mondo dell’arte, diremmo che più che agli animali sotto formaldeide di Damien Hirst siano prossimi a certi lavori di Francis Bacon, dove i corpi sono sventrati fino a divenire irriconoscibili (e allo stesso artista sembra rifarsi l’immagine di copertina). Parimenti trasfigurate sono le fonti sonore: se l’elettronica e i nastri non hanno per loro natura un suono definito, il sassofono, unico strumento acustico presente, è quasi sempre irriconoscibile e rivela sé stesso solo nella finale, liberatoria Welcome To The New Barbarian. In questo senso è significativo che gli unici suoni riconoscibili, utili ad evitare un’eccessiva astrazione, provengano da oggetti non propriamente musicali, come una moneta che rotea su un piano o la suoneria di un telefono: gli Aspec(t) ridisegnano lo spazio partendo dalla realtà e ce lo restituiscono deformato come in un quadro cubista dai colori plumbei. In un’opera così curata, nulla è ovviamente lasciato al caso: ogni incastro, ogni contrasto fra pieni e vuoti, è soppesato con attenzione, e il risultato è una specie di jazz concreto e spigoloso, che muove dall’insegnamento del John Wiese più crudo e ogni tanto si toglie lo sfizio di sconfinare nei campi del power eletronics (Intorno Al Drago) e dell’hardcore digitale (Contratti O Sabotaggio?), disegnano un percorso difficile ma coerente, dove anche il nome dei brani sembra suggerire una possibile continuità narrativa o addirittura un ipertesto (alcuni sono rubati a titoli di libri). Non un ascolto facile, ma un’esperienza appagante che si protrae ben oltre l’ascolto.