Arco – Un’intervista con Andrea, ma sono io ad essermi perso.

In pochi casi come questo sono partito per un’intervista conscio di non avere in mano la materia d’esame, ovvero la musica sfuggente di Arco, progetto di Andrea Guerrini che, nel tramite del buon Fabio Ricci / Dana O’Paal dei Vonneumann e di Ammiratore OmonImo Records, mi è stato dato ascoltare. Sono passati tre anni dall’esordio discografico fisico (è infatti nel 2014 che iniziano le prime sperimentazioni in questo senso) e, mi sono detto, chi meglio dell’autore dell’opera potrà ridimere i miei dubbi?

Dopo il disco, qui il sunto di quanto speso nei quaranta minuti di chiacchiera telefonica.

SODAPOP: Ciao Andrea, molto piacere! Grazie mille della tua disponibilità…siamo qui perché ho ascoltato il tuo secondo disco che è uscito un mese fa più o meno, ma ho scoperto che Arco nasce molto tempo fa, è corretto?

ANDREA: Sì, il 15 dicembre! Ho fatto degli audioracconti per una radio, poi delle sperimentazioni assurde, ho suonato con un paio di  band ed ho scritto un libro su Robert Wyatt, questo è quello che ho fatto.

SODAPOP: Ricapitolando, tu parti dai Walden Waltz e poi arrivi ad Arco già diversi anni fa, nel 2014?

ANDREA: Sì, a quei tempi avevo iniziato a farmi le prime cose da solo, in casa a Bologna con la Focus Right, sperimentazioni improvvisate e piano piano ho trovato il modo di fare le cose.

SODAPOP: Una decina d’anno circa ma sei arrivato al tuo disco omonimo solo nel 2020, quindi dopo 6 anni. Cosa ti ha portato a capire che fosse il momento e che fosse necessario fare un disco? Ma, in primis: ha ancora senso fare un disco oggi?

ANDREA: Mah, secondo me è una follia! Soprattutto adesso, se non hai un sostegno dietro…tu perché fai un disco oggi? Perché hai qualcosa da dire e perché vorresti che la gente possa ascoltarle. Se trovi qualcuno che ti aiuta a farti ascoltare credo che abbia senso, altrimenti è una tua follia. Io personalmente in questo caso avevo proprio esigenza (per il secondo disco) di dare una forma a delle cose e mi sono detto “Se è una follia che follia sia e facciamolo”.

SODAPOP: Però il fatto che tu sia arrivato al secondo disco significa che il primo ha avuto un senso, altrimenti non lo avresti fatto?

ANDREA: Sì, ha avuto un senso perché mi ha permesso di andare in giro a suonare, sperimentare nuove cose, la ricerca nel dare una forma alla musica che ti senti in testa…è questo,  non è una pretesa di fare altro che questa. Io ho avuto la fortuna di trovare questa persona che mi ha aiutato, anche economicamente, a fare il primo disco e questo che è Fabio Ricci dei Vonneumann a cui devo, a cui devo l’esistenza di questi dischi perché è la persona che mi ha sostenuto economicamente e spiritualmente e poi so che la situazione della musica è quella che è, so che la situazione della musica italiana è quella che è, so che i circuiti sono quelli che sono ma io avev bisogno di fare questa cosa. Ho trovato delle persone che mi hanno permesso di fare questa cosa e le ringrazio, se mi chiedi se abbia senso ti dico che ha senso nel momento nel quale tu hai bisogno di dire delle cose e riesci a farlo, a livello economico è l’investimento più stupido che tu possa fare.

SODAPOP: Una cosa che mi ha colpito dei tuoi dischi, Arco prima ed ora Orama, è che in realtà Arco sei tu ma dentro Arco c’è tanta gente da sembrare quasi una comune. Come funziona Arco? Come nasce la musica e come coinvogli gli altri musicisti? Tu hai un’idea ed utilizzi le persone per attuare la tua idea oppure prendi le persone con le quali vorresti lavorare e da lì partite per vedere che succede? Come funzionate?

ANDREA: No no, sono tutti miei trip mentali. Io faccio la musica, faccio i testi e poi ho la fortuna di vivere da quattro anni a Torino, che è una città stracolma di musicisti incredibili, abbastanza aperti di mente da dire che se la cosa gli piace la fanno senza nessun problema e quindi sono disponibili ad entrare dentro ai tuoi viaggi mentali. Si tratta quindi di arrangiare la musica, scrivere i testi e trovare le persone che possano arricchire la musica che tu hai in testa. La maggior parte delle cose sono fatte in casa, da me: sintetizzatori, ambienti me li immagino tutti io poi penso che ci starebbe bene una tabla ed allora penso al ragazzo indiano che suona ed è disposto a fare un pezzo e via così. Con Orama ho cercato di ridurre il più possibile il personale: tutto era già stato scritto poi Cécile Delzant, una violinista francese stupenda ha dato un grande apporto per quello che riguarda gli archi (cose alle quali io non avevo pensato ed infatti le parti di violino e di archi sono tutte sue). Poi però, che ne so, Nicholas Remondino ha fatto ad esempio la percussione sulla decima traccia, in una take dall’inizio alla fine inventandosela così e mettendola sopra ad una cosa che era già stata scritta e composta da me, quindi io ho delle visioni a cui cerco di dare copro e poi ho la fortuna di avere delle persone che riescono ad entrare in questo ambiente. Io non sono un musicista, non ho una formazione musicale se non da autoditatta quindi compongo come creare delle scenografie e le persone alle quali chiedo di dare un apporto a queste scenografie lo fanno entrando in questo mondo. Questo è il processo, entrare in quel mondo lì.

SODAPOP: In questo senso c’ê anche una buona dose di sorpresa e di incognita. Tu chiedi ad altri di entrare nel tuo mondo e quel che ricevi è una sorpresa, per nulla scontato a livello di scrittura e di apporto.

ANDREA: è la cosa più bella per me del processo creativo. Siamo andati in montagna, nello studio degli Indianizer a registrare l’ultimo disco e lì c’è stata proprio la volontà di fare questa cosa. Sei tracce erano già pronte e sei tracce erano solo di chitarra e voce: Voi come la sentite, come la vedete e bla bla bla. Ci siamo sentiti, ascoltati a vicenda per vedere come volevamo andassero queste cose.

SODAPOP: Il disco è stato con registarto con Manuel Volpe, è corretto?

ANDREA: Sì, lui ha fatto il tecnico del suono, già anche per il disco precedente. Lui è un mito, un grande soprattutto per la pazienza che ha nell’entrare nei mondi altrui e farli suonare bene. Io poi ho dei procedimenti un po’ intricati ed in lui ho trovato una buona persona con cui relazionarmi per farli uscire fuori…

SODAPOP: Stavo leggendo i crediti ora e lui lo collego ad un disco che ho ascoltato di recente, quello di Massimo Silverio, anch’esso abbastanza alieno. Ascoltando diversi dischi trovo le persone poi in diversi ruoli in altri dischi, Nicholas Remondino ad esempio ha fatto un disco bellissimo coi McCorman, creando un circuito di qualità, con dischi belli, intensi e personali che seguono musicisti di classe. Io ho dovuto ascoltare il disco diverse volte e sono felice di non averlo ancora capito. È un disco, secondo me anche rispetto all’esordio, spiazzante. Mi sembra che ad ogni giro ed ad ogni ascolto riesca a sorprendere, a non essere mai scontato e riesca a farti rimanere attento. Questa cosa io lho ricollegata a qualcosa che avevo letto di te in collegamento con la scensa di Canterbury, ad un’idea di estrema libertà, spontaneità, sperimentazione e leggerezza di quell’epoca. Mi sembra un disco molto poco attuale come disco, quasi una capsula che non centra nulla con quello che ho ascoltato nel 2023. Non trovo nessun tipo di possibile parallelo…tu ascolti e sei influenzato dall amusica del presente o vivi in un mondo completamente tuo?

ANDREA: Io ascolto un sacco di roba di tutti i tempi. Posso ascoltare come veniva recitato Omero nel 200 AC così come Mai Mai Mai ma non mi interessa seguire correnti ed andamenti. Mi interessa dire delle cose che se non risuscissi a dirle diventerei matto, credo ci sia proprio una sorta di malattia mentale dietro, Quindi faccio semplicemente quello che mi sento di fare. Per questo risulta essere fuori dal mondo, perchê è dare vita a dei personaggi che mi si agitano dentro e devono prendere una forma. Hai sentito, c’ê il pezzo elettronico, quello piu folk…riconosco che al primo ascolto questa cosa risulta ostica. C’è un pezzo a cappella, il secondo dove si parla di gente che si ammazza, insomma…hai diciamo la voglia di ritornarci ogni volta che lo ascolti ci trovi qualcosa di nuovo. È una cosa intricata, come un labirinto di specchi in cui la pretesa assurda è quella di perderti dentro per ritrovare delle cose tue attraverso le parole di un’altra persona. Capisco sia difficile pensare di riaffrontare quella roba lì più e più volte ma credo che chi lo faccia abbia quella sensazione, di infilarsi in un mondo che ogni volta che lo ascolta gli da qualcosa di nuovo e di inaspettato perché è costruito con quell’intento lì, non è costruito per avere il pezzo che spacca e che ti porti a dire “Che delirio”, me lo metto in macchina ed abbasso la capotte, anche perché viene da un periodo mio anche abbastanza difficile.

SODAPOP: Il disco mi dava l’impressione di essere ben più ostico dell’esordio, con la fatica di bloccare un pezzo, anche perché sembra di avere dell’acqua bollente che scivola fra le mani e con la quale rischi l’ustione. Quasi una libertà necessaria che, credo in un periodo come oggi, con il poco tempo e con la marea di uscite l’avere un disco non facilmente decodificabile ti costringa al’attenzione e lo faccia rimanere lì , come una pulce in un orecchio.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                           ANDREA: Io se posso essere veramente un figlio di puttana ho una passione per Adorno, il filosofo tedesco e comunque c’è anche una pretesa anacronistica nel dire “adesso i tempi sono questi, tu metti i pezzi ma velocizzati, non ascolti nulla” e la volontà è quella di andare controcorrente e di dire “stacci, siediti e chiudi gli occhi, fatto trasportare da un’altra parte e vedi come ne esci da questa cosa”. Non ê una cosa che tu metti mentre cucini, c’è qesta pretesa violenta verso l’ascoltatore di invitalro a mettersi calmo un attimo, seduto, staccando da tutto quanto e farsi un viagione dall’inizio alla fine. Che è una pretesa assurda perchê è proprio contro lo Zeitgeist di adesso, che è quello del frullare una cosa con l’altra.

SODAPOP. È anche vero però che con questa cosa della fruizione veloce, ad esser trombata di norma è solo la la musica perchê se leggi un libro il tempo devi dedicarglielo, se guardi un film anche, se vai in un museo non puoi correre fra le opere. Se ti ascolti un disco dovrebbe esserci anche l’educazione di dirsi mi prendo l’impegno di ascoltarmi il disco quando ho 40 o 50 minuti da dedicargli, quando ho la voglia ed il tempo. Ovvio che ascoltarlo mentre faccio lavatrici o sparo due cazzate con gli amici non è il caso: secondo me fare questo è una bella scrematura all’ingresso anche considerata la mole di stampa che sono 100 copie, meno probabilmente delle serigrafie di Andy Warhol. Dovete solo trovare cento persone che abbiano il tempo, la passione e l’attenzione per 50 minuti, non è molto, dovrebbe essere dovuta come cosa.

ANDREA: Insegno in un liceo e mi rendo conto che, anche rispetto a quando frequentavo io la scuola  è cambiata l’onda. Anche chi ascolta musica senza quella che gli venga propinata, quindi di norma la trap, non ascoltano dischi interi. Non leggono libri principalmente, musei meno che mai. Anche sul discorso film ci sono le serie, non c’ê più il discorso del sedersi e del rimanere attento fino alla fine. C’è un po’ questo desiderio di volare sulla superficie senza immergersi ed io ho voluto fare una cosa dove o ti immergi o non la capisci.

SODAPOP: Come musicista questo però è un accordo che devi avere con l’ascoltatore! Meglio un ascoltatore in meno che un ascoltatore disattento?

ANDREA: Sì, c’ê questa arroganza qui diciamo, questa pretesa molto arrogante di sperare, come con gli amici, di avere pochi amici che veramente sono veri (altrimenti preferisco infinitamente la libertà della solitudine) invece che essere attorniato da decine di persone con cui non ho un reale approfondimento della loro esistenza, della loro vita breve. Questa è la stessa cosa, un suicidio a livello di distribuzione e di diffusione ma, forse, necessaria.

SODAPOP: Mi dicevi anche prima che Arco esiste dal vivo, corretto?

ANDREA: Sì, sì, certo, abbiamo fatto la presentazione al Magazzino sul Po’, siamo in quattro, Cécile, Ambra Drius alla chitarra elettrica, Raffaele Salzano alla batteria ed io. Tutto quello che hai ascoltato sul disco è stato riarrangiato in tre mesi di prove intense ma…è venuto molto bene devo dire, per una volta! Merito anche di queste persone che hanno deciso di voler scalare questa montagna con me, rompendosi il cazzo, essendo ottimi musicisti e la speranza è quella di portare in giro il quartetto dal vivo.

SODAPOP: Come ha risposto il pubblico?

ANDREA: Bene! Era a Torino…è stato il primo concerto fatto come Arco dove c’è stata una calda, calda risposta da parte del pubblico. Una cosa strana che ti spiazza e ti scalda.

SODAPOP. Quanto tempo ci è voluto per la realizzazione del disco?

ANDREA: L’ho registrato negli scorsi tre anni. Ho fatto sei brani da solo, fatti in casa, poi sono partito due estati fa per elaborare tutta una serie di discorsi, partendo dalla sorgente del Po’ al Monviso arrivando, via terra, alla sorgente del Gange che è in India. Con la chitarra, con treni, tuttii mezzi possibili a parte l’aereo attraverso Grecia, Turchia, Pakistan, creando questi altri sei brani. Quando sono tornato ho fato ascoltare questi sei brani alle persone che poi sono venute con me in studio ed abbiamo messo insieme le altre sei tracce. Tutto il processo ha preso tre anni circa, quando ho finito il primo disco mi sono messo all’opera per il secondo.

SODAPOP: Quindi immagino tu stia lavorando al terzo?

ANDREA: Nella mente sì!

SODAPOP: Com’è andato il passaggio dell’esperienza fra te e la band in studio? Difficile far entrare i musicisti nel tuo viaggio in solitaria? È stato una cosa istintiva oppure hai dovuto dare delle indicazioni precise? Dal tuo racconto precedente sembra sia stata una sorta di carta bianca a chi ti accompagnava…

ANDREA: Sì, in questo caso sono tornato a casa con sei tracce chitarra e voce. Da solo ho tolto la chitarra sostituendola con altri strumenti, sintetizzatori e bassi. In tutte le cose che mancavano mi ha aiutato principalmente Cécile: le parti di violino sono completamente sue, non le ho mai dato nessuna indicazione. Per il sintetizzatore all’inizio della traccia Mai Nato, la decima, ho dato delle indicazione su ambienti amniotici e pre-natali a Nicholas e lui ha capito, dandomi roba rarefatta e senza ritmo. N altri casi, come Due Soli, l’ho arrangiata da solo unendo solo il violino.

SODAPOP: Cosa significa Orama?

ANDREA: È uno dei tre tipi di sogno per i greci, quello premonitore, che ti svela qualcosa, che ti da la visione del vero. A me questo ha fatto, servendomi a svelare delle cose: la copertina è questo, è un sogno che io ho fatto ed è legato alla vita come sogno ed al sogno come vita; il desiderio di trovare il bandolo della matassa di quella cosa assurda che è la nostra esistenza, il nostro soffrire, il creare qualcosa e lo scomparire senza lasciare traccia. I brani sono questo, il venire a capo di qualcosa che è dentro di me ma che è anche fuori di me, i brani non sono tutti autobiografici, sono cose magari successe ad altri e che io ho reinterpretato in quella forma per dare voce  a personalità nefaste principalmente. Una pretesa arrogante per liberarmi di questa negatività, come doveva fare la tragedia un tempo in Grecia, assistervi per esserne poi liberato, in questo caso attraverso la musica. Una pretesa molto arrogante perché ci riusciva Eschilo che era comunque un’altra personalità ma il bersaglio era quello: Arco che mira ma anche non riuscendo a colpire è sulla strada buona.

SODAPOP: Presumo sia il senso di un’opera d’arte no? Qualcosa che ci colpisca ci cambi, ci faccia evolvere. Se penso alla mia vita posso probabilmente dire quali opere mi hanno fatto cambiare, facendomi diventare la persona che solo. È quindi legittimo il mettere queste tematiche nella propria opera, altrimenti diventa più difficile far sì che un disco diventi opera d’arte o possa sviluppare un ragionamento.

ANDREA: Certo! Parlando con te mi viene in mente il brano di Colapesce Dimartino, “…metti un po’ di musica leggera che oggi ho voglia di niente”. Ecco, mi muovo nnella parte opposta!

SODAPOP. Vero che la musica, come la TV e come la letteratura, dipende da che tipo di letteratura ha: ovvio che per fruire di musica leggera e leggerissima ci voglia mento impegno e per fruire di musiche più impegnative serva un altro sforzo ma credo dia anche un altro tipo di soddisfazione e di risposta.

ANDREA: Sì, io scrissi il libro su Robert Wyatt perché comunque, con Rock Bottom cambiò la vita e mi fece sentire meno solo. È un’opera di sofferenza che ti fa dire (finendo con quel verso magnifico che è “We’re not alone): una persona spezzata nel copro e nel fisico. Sono queste le cose che mi toccano, sono venuto su con questa roba e quindi questo è quello che faccio!

SODAPOP: Sono comunque cresciuto ascoltando musica “strana, bizarra”…pensando ad un disco dove sento la sofferenza di una persona che per me è un’opera imprescindibile per me è People di Mike Pathos, un disco nel quale questo personaggio folle aveva bisogno di esprimere il proprio tormento. Non è musica leggera ne leggerissima ma nel silenzio al termine del disco mi fa chiedere cosa è successo, cosa mi smuove, come la elaboro. Poi è chiaro, c’è intrattenimento ed arte e ti fanno porre domande differenti.

ANDREA: Certo, c’è intrattenimento ed arte, sono entrambe inutili però.