Abstract Concrete è un mostro a cinque teste. Ha una linea in mente, un’idea grafica ed una forte identità sonora. Si compone di elementi sonori ed artistici peculiari: d’impatto la voce di Charles Hawyard e la viola di Agathe Max portano Almost Touch in territori agresti, sinfonia che ha già fatto i conti con il proprio passato post-punk e vola altrove, le dita al basso di Otto Willberg. È un brano prolungato che ci prepara in qualche modo all’intero disco, introducendoci la chitarra di Roberto Sassi e le tastiere di Yoni Silver. Basta infatti questa prima tranche per non imboccare la strada del progetto dell’ex This Heat parlando invece di una band solida, compita, coesa.
Avanzando in This Echo la musica è lucida, morbida e vivace, voce lanciata sobriamento sopra le note a creare paesaggi dove la materia pop è smontata e ridefinita in maniera originale, sobria e libera. Sad Bogbrush sembra iniziare come un tango e viaggia leggera, e felice prima di inferocirsi in una sorta di acido scontro finale. Nel singolo Ventriloquist/Dummy, Charles in falsetto e sotto di lui il pupazzo da ventriloquo e la band che gli tolgono l’equilibrio fino ad arrivare a melanconici giri di archi zigani e bisticci fra le due anime del frontman. Con The Day The Earth Stood Still decidono deliberatamente di inglobare brani in un unico movimento, partendo con ecclesiastico declamare che si trasfoma quasi in un urlo sussurrato nei quali gli “…I Am” lanciati al mondo fanno presagire una ricerca identitaria che viene in qualche modo accolta ed assorbita da un lavoro strumentale caloroso, mentre il campo da gioco viene trasportato in un aereo talking su basi free, fiatistiche e percussive. Nella conclusiva Tomorrow’s World Abstract Concrete trova compimento, con un’unione divertita e sagace di musica da camera, post-punk, ritmi storti e vocali caratteristici. Ad uscirne è un disco che riserva più di una sorpresa, che gioca con le nostre orecchie ed al quale non possiamo che rispondere divertiti.
