Seaside Postcards – Hope And Faith (Autoprodotto, 2012)

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E di nuovo la formula ‘Meglio tardi che mai’, dettata da impegni e rompimenti irrinunciabili vari, mi porta a parlare di un lavoro uscito già qualche mese fa. Si tratta dell’ep di un gruppo italiano. Il secondo per l’esattezza, prodotto a un anno di distanza dall’esordio di questi quattro pesaresi che dicono di averne passate di ogni prima di approdare alla definitiva line up che ha dato loro la Speranza e la Fede – nome del neonato ep – di produrre qualcosa di valido. La Carità – almeno a livello di concezione oggi diffusa – decisamente non serve, visto che i cinque pezzi qui presenti centrano ottimamente il target.
Echi di From Monument To Masses  – JK, che sta per Jiddu Krishnamurti, il grandissimo filosofo di origine indiana del ‘Ciascuno cambi se stesso per cambiare il mondo’ (ok. Ci sarebbe una marea di più da dire, ovviamente, non me ne voglia chi lo segue se la faccio così corta) – e poi si parte ad esaltare un molto probabile amore per suoni e tendenze dark-wave delle origini – The Mall – (ogni tanto mi capita di pensare che alla fine Agnelli aveva ragione a urlare ‘Non si esce vivi dagli anni 80’… a me sembrava tanto una maledizione che altro che quella di Montezuma, ma invece, in molti casi, tipo questo, è una certezza piacevole. Ma pensa un pò…) e quindi si può pescare a piene mani in nomi tipo Bauhaus Washing My Tears Out -, Joy Division e roba industrial-cattivissima targata Blixa BargeldTransition, in cui spunta anche la voce angelica di Laura Casiraghi degli Starcontrol -, ma è un accostare che mai dà fastidio o esagera, anzi, e tra incredibili sbrodolate (positivamente, sia chiaro) di chitarre in delay e intrecci quasi matematici, sono convinta che se Peter Katis – coproduttore e audio engineer dei dischi belli degli Interpol – ascoltasse General si mobiliterebbe per assicurare ai Seaside Postcards la Speranza e la Fede di cui sopra. Rimane solo la curiosità – che svela la mia malcelatissima ignoranza – di sapere chi è il losco figuro retrò sulla cover che sembra Rasputin, ma pettinato e meno schizzato. Morale: a quando un lavoro di almeno otto tracce quindi?