Zu – Terminalia Amazonia (House Of Mythology/Archaeological, 2019)

Ricordo, in una delle primissime versioni del sito zuism.com, forse ai tempi di Igneo, una sezione con link riguardanti lo sciamanesimo e la spiritualità “altra”; col tempo il tema era passato in secondo piano all’interno dell’universo degli Zu, ma oggi ritorna in auge con questo progetto estremamente interessante, autentica musica di ricerca. È all’incirca dal 2017 che la carriera del gruppo romano sta viaggiato su due binari differenti: dal vivo il terzetto – quartetto quando si aggiunge la chitarra di Stefano Pilia – propone il consueto jazz-core che l’ha reso famoso e rispettato nel mondo, mentre le incisioni in studio sono l’occasione per esplorare mondi lontani, in libera uscita dalle costrizioni di genere. È questa seconda natura, a parere di chi scrive la più interessante, che vediamo svilupparsi nei solchi di Terminalia Amazonia, portando il discorso molto più in là di quanto un pur buon album come Jhator lasciasse supporre. Durante gli ultimi quattro anni la band, in questo caso allargata a Lorenzo Stecconi (Lento), si è recata diverse volte presso un villaggio sulle sponde del fiume Ucayali, al confine fra Perù e Brasile, dove ha preso contatto con la tribù dei Shipibo-Conibo, si è immersa nella cultura del luogo e ha effettuato registrazioni delle canzoni di guarigione degli indigeni e dei suoni della foresta amazzonica; a questo materiale, una volta in studio, sono stati aggiunti vecchi sintetizzatori analogici per dar vita alle quattro lunghe composizioni di Terminalia Amazonia. “Questo non è un progetto antropologico, etnografico e nemmeno politico” ci avverte Pupillo nelle note di copertina, né tantomeno, lo si capisce al primo ascolto, un disco di quella world music paternalista che tanto puzza di “colonialismo buono”. Fin dall’iniziale Porta Arborea ci troviamo proiettati in una foresta spettrale ma vibrante che si trasfigura, di tanto in tanto, in ampi landscape e dove capita di incontrare voci il cui significato culturale inevitabilmente ci sfugge, ma la cui aura sacrale cogliamo pienamente. Dal punto di vista strettamente musicale potremmo parlare di cosmic music con qualche tocco hauntologico (le parti cantate mi hanno ricordato il capolavoro di Becuzzi/Orsi Muddy Speaking Ghost Through My Machines), anche se qui di passatista c’è poco e i synth usati dal gruppoEMS Synthi, OSCar, Roland System-100M, ARP 2600, Octave-Plateau Voyetra-8 sono più antichi della voce senza tempo di Maestro Oscar, lo sciamano della tribù. Il racconto sonoro contenuto nei solchi del disco fa immergere l’ascoltatore in una realtà che non è quella degli Zu ma neppure più quella degli Shipibo: si scende (ma l’impressione è nettamente quella di elevarsi) così in profondità nella natura delle cose che le due culture si specchiano l’una nell’altra e, nonostante l’inevitabile distanza, in qualche modo si riconoscono come pari. “Non vogliamo indossare le vesti di un altro popolo – è sempre Pupillo a parlare – Il gruppo è italiano e la nostra psiche e la nostra volontà saranno sempre radicate nella mitologia mediterranea. La discesa e il ritorno alla superficie saranno sempre connessi a Demetra e Persefone, ai misteri eleusini che hanno dato forma alla tragedia.” Terminalia Amazonia è un disco importante sotto molti punti di vista, che va scoperto con ripetuti ascolti e con la consapevolezza che, essendo il prodotto e non la somma degli elementi in esso contenuti, per comprenderlo pienamente è inevitabilmente necessario andare oltre ad esso.