The Van Pelt – Artisans & Merchants (Spartans, 2023)

Non è un album reunion. Ci tengono a precisarlo. Non vogliono forse illudere la gente della mia età che li ha idolatrati negli ultimi anni ’90? Non vogliono essere incasellati in quella tristanzuola posizione di “band che torna dopo un sacco di tempo per buttare fuori un album di cui non c’era bisogno”? Temono di farsi tacciare di “gente che fa musica fuori tempo massimo”? Non lo sapremo mai. Posso solo assicurare che, dopo il primo ascolto, mi pervade un pensiero fortissimo che mi urla in testa: ”Maporcoggiuda se suonano ancora strabene questi 50enni”.
E’ il loro stile, non ce n’è. Artisans & Merchants è fatto solo da pezzi che profumano di buono e trasudano l’attitudine The Van Pelt dall’inizio alla fine: la voce parlata tra la sufficienza e il fare distratto, le chitarre che reggono il gioco e si intrecciano, la base ritmica che supporta le melodie sbilenche fino all’esplosione in chorus che non ti si levano dalla testa per intere giornate. Sono tornati gli “Heatens”, quegli “young cats” che ora non sono magari più tanto young sulla carta, ma poco hanno di diverso da quando rifiutavano contratti d’oro che miravano a farli diventare i nuovi Nirvana per timore di bruciarsi troppo in fretta.
E così, dopo circa due decenni – tolto il lavoro di pubblicazione “postuma” del 2014 Imaginary Third –, compaiono pezzi che ancora bruciano… Image of Health e Punk House: dell’ultima c’è anche un video che è un footage amarcord fatto di ragazzi che sono in tour, skateano qua e là, sorridono e suonano. Ed io mi immagino Chris Leo & C. che, mentre compongono Same Song, continuano a fare esattamente le stesse cose di sempre (se io giro ancora in Vans e All Stars perchè non loro?). Solo i pezzi di apertura – We Gotta Leave – e di chiusura – Love Is Brutal – sembrano discostarsi dalle altre tracce di cui avrei riconosciuto immediatamente gli autori: mi sembrano una introduzione ed una chiosa che rispecchiano la maturità raggiunta (ben inteso, quella artistica, per me, c’è sempre stata). Il suono è più raffinato, la composizione prevede una coralità d’insieme che negli altri pezzi viene volutamente rifiutata per lasciare spazio a sonorità che paiono quasi improvvisate e che adoro proprio perchè spiazzanti. Mi trovo a sposare la bella frase che accompagna la cartella stampa del disco dove si definisce A&M come la voce di un grande amico che non hai visto per anni. Trovo sia così per Grid o Old Souls che – complice un basso egregio che risuona nelle ossa – ti risveglia tutte quelle volte che hai ascoltato Sultans Of Sentiments o Stealing (From Our Favourite Thieves, ma io e i pochi amici che ne condividevamo l’ascolto, lo indicavamo solo con la prima parola per fare prima n.d.r.).
Ovviamente non ci verrà data la gioia di vederli in tour in Italia né troppo vicino e me ne dispiaccio, ma, assicuro, la sola presenza di questo album riempie le orecchie e la parte del cervello che presiede la memoria di felicità. Un esimio collega (SuperVasco Viviani) mi ha detto che Chris Leo si è messo anche a produrre vino… Troppo scontato il parallelismo col caro buon “Sei come il vino: più invecchi, più migliori”?
Ovvietà che rispecchiano però una chiara oggettività per questa band che, mi piace da sempre pensare pur non avendone mai avuto la certezza, rende col suo nome onore ai fratelli Lucy & Linus.