Dopo 7 anni è ritornato il menestrello del nord est: Krano aka Marco Spigariol, una vita fra i Vermillion Sands ed i Movie Star Junkies (dai quali continuano ad uscire cose parecchie interessanti, vedi l’ultimo Similou). Con Requiescat in Plavem ci aveva trasformato in un mondo agreste e magico, libero da definizioni di lingua e di connotazione geografica, dimostrando una volta per tutte che non è così semplice incasellare una voce, una chitarra ed una testa matta. Ed il secondo album? Il difficile secondo album? Lentius Profundus Suavusvien da sé, tra svagatezze e suonini assortiti, che sembra siano nate in un prato con una spiga in bocca (See, singolo perfetto come ce ne sono pochi), chitarre storte e croccanti, vociare ininteleggibile, ritmo e cuore. È la perfetta unione fra il mondo folk statunitense, la realtà paesana ed un immaginario completamente avulso da tutto il resto. A tratti compare un pianoforte che sembra goticheggiare far partire scintille in palude (In Thea Cheba), a tratti ci si richiude su se stessi, accartocciati ed afasici come in Moron, oppure più giù, in quella che sembra una meditazione trascendente in barca, insieme ad una pesca alla mosca, di Paraoci. Questo secondo disco è la conferma che il progetto di Krano ha le spalle larghe ed ha tutta la ragione di esistere: dolente, vissuto, leggero, è in grado di trasformarsi brano dopo brano rimanendo se stesso, gli ingredienti per apparire musicisti di personalità e di acume… bravi quindi Krano e la Maple Death già siamo ai livelli di un classico.