Dei vari progetti musicali di Daniele Santagiuliana avevamo finora trascurato Testing Vault, fra tutti quello maggiormente longevo e prolifico, nonché, pare incredibile a dirsi, più oscuro. Se i dischi doom-folk che portano come ragione sociale il nome del musicista provano, attraverso la parola, a raccontare di una non pacificata interiorità e finanche le cupe mutazioni black-industrial di Kotha, nel tirar fuori senza filtri rabbia e frustrazione, sembrano cercare un pur accidentato canale comunicativo, Testing Vault attinge a un subconscio così profondo da renderlo difficilmente comprensibile alla maggior parte degli ascoltatori, e credetemi, è un bene. Non giriamoci intorno: Threnody ForThe Suicidals è un disco brutto. Lo è non perché sia mal fatto o persegua una determinata estetica, ma perché è brutta la materia con cui si confronta, che lo informa e lo pervade e non potrebbe essere altrimenti. Cinque azioni sonore registrate fra il 9 e l’11 ottobre 2018 con il solo aiuto di un Korg Monotron Delay e di un walkman; tre artisti ad ispirarle, tre uomini che si sono disinteressati alla vita fino al compimento del passo estremo: Rozz Williams (Premature Ejaculation, Christian Death), Marco Corbelli (Atrax Morgue) e lo scrittore e poeta di inizio ‘900 Harry Crosby. Sebbene le cinque azioni siano state improvvisate, non è l’improvvisazione come genere che può aiutarci a trovare una definizione a quanto si ascolta in questo nastro (accompagnato da cartoline e scritti in tono): questo è piuttosto un corrispondente musicale della scrittura automatica, col musicista che si abbandona e lascia parlare gli stati più profondi della propria anima. Ma è anche un’operazione hauntologica, perché l’unica comunicazione che il lavoro cerca e trova non è con i viventi ma con gli spiriti e le opere dei tre mentori suicidi. Ne risulta un flusso di coscienza non mediato né incasellabile in una forma precisa – fra muri di rumore che celano tempeste emotive e frequenze spaccatimpani – dove certe analogie con l’Atrax Morgue di Cut My Throat appaiono inevitabilmente casuali, o quantomeno non razionalmente volute. In Threnody ForThe Suicidals non c’è nulla di salvifico, non si coglie nemmeno la volontà di esporre il male, dargli nome e forma per esorcizzarlo. È un disco desolante, difficile e potenzialmente pericoloso, che ben difficilmente riuscirete a capire nella sua interezza. Se doveste farlo, se lui riuscisse a parlarvi, sarebbe davvero preoccupante.