Zero23 – Songs From The Eternal Dump (Kaczynski, 2018)

Il secondo lavoro del crossover Zero23, terzetto che mette insieme il violoncello e i campionamenti di  23RedAnts con l’elettronica di  Zerogroove,  marca una differenza decisa con l’esordio, forse dovuta al non essere più legato all’idea di colonna sonora, com’era invece Boogie Desert, o forse per il naturale raffinarsi della coesione fra le due anime del progetto. Songs From The eternal Dump è un disco maturo, che senza perdere quello spirito aperto e di ricerca – cifra stilistica di tutti i progetti che ruotano intorno alla Kaczynski  Editions – sposa una certa fruibilità quanto mai benvenuta per superare le secche sempre in agguato di un’eccessiva astrazione sonora. Nel connubio fra suoni acustici, di sintesi e campionamenti, prende forma una musica malinconica e zoppicante capace, con poche pennellate, di imbastire piccole ma esaurienti narrazioni, tanto da non far apprarire strano se più di una volta ritroverete lo stesso feeling dell’Oren Ambarchi di Triste. Siamo in un altrove dove la ricerca descrive una parabola che, partendo da una moderna idea di improvvisazione ben supportata dalla tecnologia,  arriva ad assimilare lo spirito delle prime registrazione blues, quando il genere non era ancora eccessivamente codificato e, in un cortocircuito fertile fra passato e presente, ci consegna un’opera vibrante e ricca di pathos. Ma è anche, e forse soprattutto, un  lavoro dove il suono si fa palpabile, concreto, come se emergesse direttamente dalla terra e dalle cose: si ascolti la splendida Dead Rats Blues, che richiama le migliori cose del duo Becuzzi/Orsi, o lo sghembo gioco di chiamata e risposa fra violoncello e rumore di Rome e ancora la melodia dolente di Broken Souls, doppiata da battiti dub volatili e sampler ambientali. Zero23, pur lavorando entro i limiti (passatemi il paradosso) dell’improvvisazione, riesce a costruire canzoni che, anche in assenza delle parole, sanno raccontano storie: se non è blues questo, nulla lo è.