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Wussy – Buckeye (Damnably, 2012)

Wussy è un progetto nato nel 2001 a Cincinnati. E’ stato scritto di loro che, dal 2005, anno in cui è uscito Funeral Dress, loro primo album, sono la migliore band statunitense. Ora, è pur vero che stiamo attraversando tempi duri e che anche musicalmente non si scherza affatto sulla quantità di robaccia che esce eccetera. E’ anche vero che io non sono il Signor Christgau, eminente giornalista e critico musicale che ha sparato la positivamente lapidaria definizione di cui sopra. Però, davvero, non mi sembra che Buckeye sia quanto di meglio gli States abbiano prodotto negli ultimi anni. Trattasi di indie rock un pò atipico (o meglio, indie rock nel senso letterale della definizione) che conta alla sezione vocal-chitarristica, oltre a Lisa Walker, Chuck Cleaver (già negli Ass Ponys che erano – nei primi anni ’90 – un qualcosa di similissimo all’anima più pop dei Pavement).

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Sufjan Stevens – The Age Of Adz (Asthmatic Kitty, 2010)

Quando meno te lo aspetti, in un anno deludente per l'indierock arriva uno dei dischi migliori da anni: è l'ennesima riprova dell'idea che i bei dischi escono sempre, bisogna solo riuscire a trovarli ed ascoltarli. Inoltre la sorpresa arriva da un disco di Sufjan Stevens che, un po' perso tra acustica melense e dischi strampalati e lunghissimi, in dieci anni di prolifica carriera mai era arrivato così in alto.

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Impossible Hair – What Is The Secret Of Impossible Hair (Autoprodotto, 2009)

Pop rock molto semplice e vintage per gli Impossible Hair, e quando dico pop rock non parlo di qualcosa che gli assomiglia alla lontana, anzi vedere che citano fra le influenze gli XTC dovrebbe darvi più di un’indicazione sul suono globale del disco. Belle melodie, ariose e ultrasolari, indie pop con qualche richiamo anche a Pollard e soci ma molto meno yankee come resa globale e soprattutto con una produzione lo-fi, anche se non nel senso migliore del termine, dato che pur non suonando male il suono non esce come dovrebbe e di conseguenza anche le canzoni rimangano un pochino piatte.

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Il buio ai margini di Drive-In: il ritorno degli ’80s italiani.

"Siamo arrivati così ai tanto vituperati Eighties, per l'inevitabile "revival" dei quali bisognerà forse attendere il giro di boa del millennio".
Così scriveva Federico Guglielmi in un articolo sul "rock italiano" su un inserto speciale di "Rumore" dedicato al crescente mercato delle ristampe in cd: nonostante già all'epoca fosse più o meno una giungla che vedeva già alcuni generi (due esempi non casuali: il garage e il reggae) incontrollabili e impossibili da seguire al 100%, dubito fortemente che lui e gli altri giornalisti coinvolti avessero una vaga idea di cosa sarebbe diventata quella fetta di mercato negli anni successivi…

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