Swanz The Lonely Cat – Macbeth (Toten Schwan /EEEE, 2023)

Swanz The Lonely Cat (che già abbiamo conosciuto coi Dead Cat In A Bag) si cimenta laddove già altri si sono cimentati: dare forma musicale all’opera shakespeariana Macbeth, e come già altri – vengono in mente, fra i primi, Third Ear Band e Laibach – lo fa come colonna sonora di una rappresentazione, in questo caso teatrale.
Data l’inedita destinazione d’uso, Swanz si discosta tanto dal rock noir del gruppo d’origine quanto dal folk, altrettanto scuro, del suo progetto solista: la cupezza, beninteso, resta – era inevitabile dato il tema – ma stilisticamente siamo in ambito dark-ambient, con incursioni in territori post-industrial e drone; suoni non propriamente accomodanti ma, ancora una volta, questo richiedeva il contesto. Probabilmente è proprio l’oscurità a fare da trait d’union e il musicista dimostra di trovarsi a proprio agio nei nuovi panni, realizzando un’opera dotata di una totale autonomia, capace di parlarci anche in assenza della parte visuale (esiste comunque un cortometraggio, opera di Plastikwombat, che riutilizza parte delle registrazioni), sebbene una minima conoscenza della vicenda narrata sia indispensabile per godere appieno dell’opera.
Il primo brano, A Walking Shadow, quasi mezz’ora divisa in dodici sezioni che fanno riferimento al copione della tragedia, ripercorre l’ascesa e la caduta di Macbeth attraverso suoni metallici e stridenti che materializzano armi e armature, lividi passaggi di synth che dipingono le nebbiose brughiere scozzesi e battiti riverberati che riempiono le volte tenebrose del castello di Dunsinane. Campioni vocali marcano i momenti più drammatici della vicenda, dalle tetre riflessioni del protagonista all’annuncio della morte di Lady Macbeth, dall’avanzare dell’esercito di MacDuff e Malcom, mimetizzato con le frasche della foresta di Birnam, al tragico finale, mentre chitarre (sia acustiche che elettriche) e organo stemperano, di tanto in tanto, le atmosfere create dai suoni sintetici.
Della presenza del secondo brano mi sono inizialmente chiesto la ragione: in fin dei conti, il compito di narrare la vicenda è ottimamente assolto dalla prima traccia. Macbeth Suite – lungi dall’essere un semplice corollario – è invece un’inedita appendice che ci fa discendere nei meandri dell’anima di Macbeth, personaggio complesso e profondamente umano: il ritratto che Swanz compone, con gli elementi musicali di cui sopra, è senza sconti, ma anche scevro di moralismi. Tocchiamo così l’ambizione, il dubbio, l’esaltazione, il fatalismo e, sul finale, anche una malinconia che si incarna in suoni meno cupi che muovono quasi a compassione, prima che spaventosi stridori industriali ci ricordino che non possa esserci redenzione; e così, un suono d’organo sigilla solennemente il tutto.
Sul valore e l’eterna attualità di questa tragedia di Shakespeare è inutile dilungarsi, ma lavori come questo dimostrano come possa essere una continua fonte d’ispirazione e uno stimolo a cercare sempre nuove forme di rappresentazione che incontrino un pubblico che travalica epoche e gusti: di questo, il Bardo e il musicista si divideranno i meriti.