Stella Burns – Long Walks In The Dark (Brutture Moderne, 2024)

Non appena parte il secondo brano, la title track, l’intercalare di Stella Burns in italiano ci fa cascare in un’enorme Wath If?, vista e considerata la bellezza dell’incedere vocale di Gianluca Maria Sorace, che delle vesti del cowboy si barda da ormai dal 2011. Un disco sofferto questo, testimoni dei tempi bui trascorsi e delle perdite subite, perdite che hanno minato a sfera personale ed artistica di Stella Burns. L’espressività è quella sofferta dei giorni migliori, in una Love and Thunder che è una torch song dell’anima, con Sergio Carlini dei Three Second Kiss a dar manforte sui paesaggi che da sempre contraddistinguono il personaggio, quel west che in Italia ha sempre attecchito con vigore e che sposandosi alla drammaticità ed al melodramma caro al DNA italico può dar vita a strazianti brani musicali. Stella è perfettamente credibile e sul pezzo quando, attorniato dallo stuolo di collaboratori scelto con fare certosino, che aiutano a comporre una musica sottile e leggera, ma intensa come se i granelli di sabbia che compongono le nostre vite fossero spostate dal refolo dei suoi venti.
È il west dei cowboys, un folk immaginario che è un vero e proprio stato dell’anima e che può in molti casi essere da trampolino per lo spazio vero e proprio. Lo fu per David Bowie, da sempre uno dei fari, lo fu per N.C. Odam, dai più ricordato come The Legendary Stardust Cowboy, e se le stelle che vediamo ogni notte in realtà sono bruciate scomparendo millenni fa beh, anche Stella Burns è di quella gamma. Ogni canzone traspira onestà e cuore, i musicisti, tra i quali vere proprie star non eccedono mai, rimanendo la banda, dietro ad un leader che tira le redini con grazia ed intensità. Long Walks In The Dark è un disco che sarebbe potuto uscire 50 anni fa, oppure domani. A colpire come frecce al quale sono piccoli eleganze ed accorgimenti come il piano di Her Kiss Your Smile, a dimostrazione di uno stile cangiante che parte dall’amore per farsi universale. Un peccato non avere nel bel digipack uno spazio per i testi, che andrebbero approfonditi, letti e sottolineati per poter assorbire al meglio la poetica di Stella. Quando poi parte la voce di Dan Fante in I Want To Be Dust When I’m done il tutto assume le corrette simmetrie, con un personaggio ed una storia che potevano poggiarsi soltanto qui ed il risultato è infatti mirabile, grazie anche all’intervento di Diego Sapignoli alla batteria. Ma c’è spazio per una cantata con Ken Stringfellow in una succosa The End Of The Snowfall, corale e leggera tanto da faticare a passare al brano successivo. C’è spazio per diverse bellezze, tra le quali una Make a Wish dove le corde vocali di Stella e di Marianna d’Ama si sposano meravigliosamente, con Laura Loriga e Davide Grotta ad ornare di piano e theremin le pelli che Damiano Trevisan ha sapientemente accarezzato per l’intero lavoro. La finale We Cannot Decide ci saluta, lasciandoci fra le mani qualche granello di sabbia e l’impressione di un altro, splendido, cowboy spaziale.