Chi è Johnny Mox? E chi è Gianluca Taraborelli?
In che lingua pensa, canta, suona?
Scrive, incide, perform, agisce.
Tanta, troppa roba. Per fortuna ogni tanto fa un disco, in questo caso Anni Venti, completamente composto in italiano, un disco in divenire che rischia di essere lavoro con il quale faremo i conti a lungo. Ho approfittato della sua pazienza per rigargli tempo e riflessioni, sperando di non essere additato come J. Jonah Jameson.
SODAPOP: Ciao Gianluca, come stai? Che tipo di rapporto hai con Johnny Mox? È un tuo alter ego oppure è soltanto un nome od un vestito che utilizzi per esprimerti?
JOHNNY MOX: Io sono Peter Parker e lavoro al Daily Bugle. Gianluca invece è uno che passa le giornate ad arrampicarsi come un ragno, si sveglia prestissimo e vuol far troppe robe. Ho cominciato ad utilizzare Il nome Johnny Mox anni fa, nel periodo in cui ho vissuto a new York e mi è rimasto sempre attaccato. Mox è una parola latina che significa “adesso, subito, presto”. Quindi il nome che ho scelto ha in qualche modo a che fare con l’urgenza. Significa “eccomi, questo sono io, adesso”.
SODAPOP: Per la prima volta in italiano. Quanto ti ha influenzato l’esperienza di Addio Addio con Lovra Gina? Avresti avuto difficoltà a ritornare all’inglese dopo quella manciata di canzoni?
JOHNNY MOX: Il passaggio all’italiano è un percorso iniziato proprio all’inizio del decennio. Per me è importante assecondare il cambiamento, sentire che sto andando in una direzione artistica di cui non ho il controllo completo. Fare i pezzi in italiano è difficilissimo, è una sfida: con Addio Addio ho imparato moltissimo. Io e Laura abbiamo scoperto di avere in comune la passione per un certo tipo di canzone italiana degli anni ’60. Certi pezzi struggenti di artisti come Mina, Luigi Tenco, Piero Ciampi, gli arrangiamenti maestosi di Ennio Morricone, Luis Bacalov. Con Addio Addio abbiamo recuperato alcune gemme oscure di quel periodo e le abbiamo trasformate in una roba melmosa, glaciale, piena di synth e di voci. Se mi avessero detto che nel 2023 avrei cantato un pezzo di Gigliola Cinquetti non ci avrei mai creduto.
SODAPOP: Com’è nato Anni Venti? È un disco ricercato e studiato oppure è uscito di getto?
JOHNNY MOX: Anni Venti non è un disco, è un decennio. E’ il decennio più complesso, più sconvolgente, decisivo e determinante che ci sia mai capitato di vivere. Guarda quante cose sono successe: e siamo solo al 2023. E’ in atto una accelerazione impressionante, dai cambiamenti climatici a quelli nel campo della tecnologia, dalle disuguaglianze alle relazioni sociali, dal mondo del lavoro ai fenomeni migratori. Anni Venti è una lunga lista di questioni irrisolte, ma sopratutto è un un disco non finito, in divenire. Chi ha detto che i musicisti devono solo pubblicare canzoni, raccoglierle in album, andare in tour e ricominciare? Chi ha detto che un album è finito il giorno in cui viene pubblicato? Questo disco non è finto. Non è il contenuto, è il contenitore che conta. Non è la mia foto postata, la mia canzone, la tracklist: è la piattaforma che conta. Perché sono le piattaforme ad influenzare i contenuti.
Siamo tutti presi dal comunicare, ma qual è il contesto in cui avviene questo enorme scambio di informazioni?
Anni Venti è la mia piattaforma. Avevo bisogno di un progetto aperto, una cosa che proseguirà per i prossimi…wow..sette anni. Il desiderio è quello di spostare/demolire i confini dell’album, di avere una strada aperta verso l’ignoto, di creare un contesto più largo.
SODAPOP: Negli ultimi anni ho visto e pensato a Johnny Mox come creatore di podcast, cerimoniere di sermoni, stregone, persona attiva a più livelli nella società come artista, creatore e collaboratore. Debutti in solo nel 2012, più di dieci anni fa. È tempo di bilanci oppure questa tua attività a più livelli ti porta a non avere un distacco così lucido dal tuo operato?
JOHNNY MOX: La seconda che hai detto. Per anni ho tenuto tutto in scatole separate. Facevo il giornalista, lavoravo in redazione, poi mettevo il costume da Johnny Mox e andavo a suonare. Ad un certo punto mi sono reso conto che se avessi unito tutto quanto, sarebbe potuto uscirne qualcosa di interessante. In questo senso è stata determinante l’amicizia e il confronto con Emanuele Lapiana (N.a.n.o, Cod, Lovecoma, oSuonoMio) che riesce a vedere dentro e attraverso le persone meglio di chiunque altro. Oltre all’esperienza incredibile di Stregoni ho fatto molte cose diverse: con oSuonoMio abbiamo prodotto un sacco di roba: dai podcast narrativi ai giochi, abbiamo messo in piedi un festival (SETE Festival) dedicato all’acqua e al cambiamento climatico. Mentre ti scrivo sono in Mozambico per lavorare ad una storia originale tra Europa ed Africa che uscirà nel 2024. Non riesco a fare un bilancio lucido di questi anni, alla fine se guardo i numeri credo di aver fallito costantemente, ma con stile:)
SODAPOP: Con Stregoni insieme a Marco Bernacchia per moltissimo tempo sei stato perennemente a contatto con giovani ed artisti migranti. A Trento, o nei tuoi giri in italia, che impressioni hai avuto invece rispetto ai bisogni espressivi ed i canali artistici in voga fra i giovani italiani? la musica è ancora un veicolo espressivo importante per le nuove generazioni?
JOHNNY MOX: La musica è un linguaggio potentissimo. A dire il vero la musica è un linguaggio pre-verbale. Cioè abbiamo imparato prima a conoscere la musica che le parole per comunicare. Non è un caso che questo linguaggio magico sia stato il centro di un progetto così forte e umanamente travolgente come Stregoni. Da tre anni ho la fortuna di lavorare come tutor per un progetto “Upload music School”, una residenza dedicata ai musicisti under 21 di Trentino Alto Adige e Tirolo. Quello che posso dirti è che a me i più giovani sembrano meglio, più preparati, più a fuoco, più lucidi. Ho una teoria: la musica non è più così centrale a livello identitario ma è importantissima nella sua essenza, soprattutto nelle vite dei musicisti, l’accesso a playlist e informazioni tecniche è totale. La sfida per loro è trovare un linguaggio che vada oltre. Per chi ha 16 anni oggi fare il rapper per esempio è la scelta più stereotipata che si possa compiere.
SODAPOP: Cosa stai ascoltando di bello recentemente? Cosa ti ha ispirato musicalmente nella costruzione del disco e cosa ti ha sorpreso di recente?
JOHNNY MOX:Sto ascoltando un sacco di musica elettronica di derivazione araba. Roba prodotta prevalentemente in Europa da gruppi misti (gente proveniente da Algeria, Tunisia, Marocco e Francia), mi piacciono i lavori di Coleeen, Vanishing Twin, Fever Ray, i Bummer (che però purtroppo si sono sciolti), il nuovo dei Goat, Sei note in logica di Roberto Cacciapaglia e quando vado in bici ascolto i Dismember.
Dopo Stregoni per me si è aperto un periodo di totale attrazione verso la melodia e la canzone (vedi Addio Addio). Non so più cosa sono, non sono di certo diventato un cantautore, ma non sono nemmeno un artista sperimentale interessato alle manopole di synth prodotti 40-50 anni fa. Non sono di certo un rapper (anche se quel linguaggio è stato il mio primo imprinting).
Anni venti è un disco percorso da una tensione costante, ci sono ballad notturne, pezzi più elettronici, aperture psichedeliche. Cerco di restare curioso, pronto a tutto, anche perché
gli Anni Venti sono appena cominciati.