Sarram – Silenzio (Autoprodotto, 2020)

Per una volta il famigerato “disco nato nel periodo del lockdown” non è una vergognosa pippa autoreferenziale (lo stesso, inutile album che sarebbe uscito anche prima, ammantato dall’alone di dramma per provare a darsi un tono) ma un lavoro che ha senso come testimonianza, ma anche come interpretazione, del vissuto di questo strano periodo. La forza di Silenzio sta nella semplicità dell’idea e della realizzazione (al netto delle competenze impiegate, ovviamente): Valerio Marras, in arte Sarram, ha chiamato a raccolta amiche e amici sparsi per il mondo chiedendo che lasciassero ognuno un segno di questo periodo, nel modo che preferivano. C’è chi ha messo i propri pensieri in versi, chi ha raccontato, chi ha preferito esprimersi in musica; è toccato poi al musicista prendere in mano il tutto, trovare i giusti suoni e giungere al prodotto finito, battezzato col nome del testimone. Un procedimento artigianali dove il ruolo di Sarram, per quanto di servizio, non è mai supino al materiale di partenza, ma ne interpreta gli umori, a volte assecondandoli, altre lavorando di contrasto. Capita così che la poesia in ceco di Thomas Malotin sia accostata a soundscape e field recording che suggeriscono solitudine e pace; che la cadenza solenne del farsi di Elaheh Mohammadbaghban sia accompagnata da suoni sintetici nervosi e spezzati; che la narrazione sentita, in sardo, di Diego Pani (da New York) sia supportata da un ambient sporco e quasi industriale, ma capace di zittirsi davanti alle parole; che il racconto riflessivo, in tedesco, si associ ad un’elettronica mobile e inafferrabile (Dimitrios Kaitsis) o a suoni concreti (Sarah Kristof). Vari anche i toni delle collaborazioni che portano ai brani strumentali, ora tesi e ritmici (Gabriele Gasparotti), ora sognanti e dilatati (Daniele Borri), ma anche capaci di abbinare spipoli e chitarre corpose (Giona Vinti). Silenzio è album a tema ma non monotematico (nelle parole rientrano anche fatti avvenuti durante l’anno, non solo la questione del Covid)  che ci ricorda che anche un periodo del genere (forse, a maggior ragione, proprio un periodo del genere) merita di essere ricordato. Senza retorica.