Nonostante le numeroso uscite discografiche, anche su etichette di nome come Load e l’attuale Supernatural Cat e i palchi calcati ad ogni latitudine, gli Ovo hanno continuato ad essere uno dei segreti meglio custoditi dell’underground: al solito, troppo metallari per i punk, troppo punk per i metallari. Per tutti gli altri, probabilmente troppo e basta. Chissà che Abisso, dal suono rinnovato e arricchito da corposi inserti elettronici, a tutti gli effetti il loro album più accessibile, non permetta di aprire qualche porta.
Personalmente ho sempre considerato la miglior uscita del duo di Stefania Pedretti e Bruno Dorella l’eccellente disco di remix curato da Daniele Brusaschetto nel 2008, dove la musica del duo veniva innervata da massicce dosi di elettronica industriale: Abisso sembra ricollegarsi a quell’esperienza, pur senza trascurare quanto di buono maturato in questi ultimi anni, in special modo i progressi nella cura dei suoni. Proprio da questo punto di vista figura fondamentale, che agisce dietro le quinte ma fa sentire notevolmente il suo peso, è Rico Gamondi (Uochi Toki, La Morte), ormai indispensabile fonico dal vivo, praticamente il terzo Ovo, e qui nelle vesti di raccoglitore dei sampler che sono poi stati utilizzati nelle composizioni. A completare il quadro troviamo Giulio Favero al mixer e la masterizzazione di Giovanni Versari. Pur rimanendo riconoscibilmente un disco degli Ovo, Abisso ci mostra il gruppo in nuove e migliori vesti: abbandonati l’immagine e i residui di suono noise-freak si vira verso sonorità più monolitiche, dove i campionamenti, le drum machine e le chitarre maggiormente corpose creano un muro di rumore che non può non ricordare i Godflesh, come nella doppietta d’apertura Harmonia Microcosmica/Tokoloshi. Le atmosfere sofferte e il tribalismo post-atomico che già conoscevamo prendono così dimora in ambientazioni suburbane, mentre le strutture quadrate e i ritmi rallentati imbrigliano il caos improvvisativo che caratterizzava un tempo il suono del gruppo e che qui rimane una minaccia potenziale a cui solo raramente è concesso scatenarsi, come avviene nell’isterica e marziale Aeneis e in Pandemonio. Sono comunque molte le frecce nell’arco di questi nuovi Ovo: in A Dream Within A Dream la voce di Alan Dubin (OLD, Kanhate, Gnaw) si staglia su rarefatte ambientazioni post-metal prossimi agli Jodis, per poi duettare con quella di Stefania sul finale, Harmonia Macrocosmica è un’ipotesi di kraut-metal, Ab Uno accoglie, su una base melodica e dilatata, un campione di canto africano. Procedendo verso la fine il disco muta lentamente forma, perde un po’ di pesantezza e guadagna pathos, così nell’ultimo pezzo in scaletta agli Ovo si uniscono Carla Bozulich e i suoi Evangelista per un blues lento e dolente distante dall’abituale suono del duo, ma vicino al loro spirito. Tutto sembra finito e invece una rumorosa ghost track, autentico fantasma del passato, irrompe a ricordarci che, sebbene si tratti di un album più accessibile dei precedenti (e a parere di chi scrive il migliore della discografia del gruppo), siamo pur sempre in ambito di musica estrema. Non c’è da stare tranquilli.