Come approcciarsi ad un disco come Ossi?
Vinilone, copertina di Andrea Pazienza, libretto interno corredato dai fumetti di Ugo De Lucchi, osso sacro e coccige a carico di Vittorio Nistri e Simone Tilli, già coi Deadburger, e collaborazioni sparse e di spessore, quelle con Appino all’osso iliaco, Bruno Dorella al femore sinistro e Dome la Muerte al destro. Con che ci si ritrova quindi? Un bacino allungato, pronto a shakerare nella maniera più scabrosa possibile, alla faccia delle novità e dei tempi. Il ritmo è sacro ed attorno ad esso si costruiscono i brani, così come la polpa della coscia sta attorno all’osso.
Insulti, cougar, ricariche, calembour da jukebox, la sensazione è quella di un disco costruito con grande leggerezza e brio, dal quale traspare un tiro d’altri tempi, sguaiato, aperto e pronto ad incollarsi al nostro petto, rinfocolando villosità passo strascicato (fors’anche una cicca fra le labbra). Il tirò è incredibile in alcuni brani, Toy Boy rilascia endorfine, Monks Time analizza donne e froci con cori e stacchetti che hanno dell’incredibile, par di sentire la garage band dei Freak Brothers prodotta da Mel Brooks sul set di Mezzogiorno e mezzo di fuoco.
Ossi è una brutta accozzaglia di gente, talmente a fuoco che potrebbe fottere i promoter di mezza Italia, farsi assumere alla sagra della Cipolla Brasata per dodici serate consecutive e metterla in culo a tutti quanti. Ballare si balla, sudare si suda, bere si beve, pisciare si piscia (con competenza, come dice o’ pisciaturu), ci si agita sugli inserti psych e potrebbe scappare anche del petting duro…c’è anche parecchio cuore.
Un bel muscolo, 3 etti abbondanti soltanto ma un bell’afflusso sanguigno.
Poi c’è Navarre, da suonare con lo sguardo rivolto all’orizzonte, il vento tra i capelli ed il ruscello sotto ai piedi…più osso per tutti, di più non so!