Gli Open to the Sea si stanno trasformando via via in una base amniotica e liquida in grado di coinvolgere e di integrare personalità artistiche differenti senza far sì che diventino troppo spiccate, segno di solidità ed equilibrio. Con il nuovo Ten Rooms Under The Sea ci muoviamo a mezza via fra neo-classico, post-rock ed ambient in maniera non troppo dissimile da certi Rachel’s. Un misurato romanticismo, impeccabile e toccante, come certi giochi fra luci e buio, albe e tramonti. In quei cambiamenti di luminosità sembra stiano Saverio Rosi, Matteo Uggeri ed Enrico Coniglio a fornire un commento elegante ed austero, senza mai esagerazioni, impeti e sfoggio di tecnica, anche quando il demone della sabbia nel terzo brano a tratti si lascia sedurre dalla bellezza della sua stessa chitarra. Incrociamo meditabondi ed alieni idoli pasquali, che sembrano lavorare con tecniche e ritmiche che portano a veloci stati di trance. Il brio percussivo passa di stanza in stanza portandoci su tavoli imbanditi dove pasciono pecore cieche ed affamate, mentre è con The Room of The Wasted Sunset che il panorama si apre alla luce, variabile che rende il suono più aereo, diffuso e lirico.
C’è un sentore di psichedelica a bassa intensità, un’uscita dal proprio corpo verso campi energetici, sonori e luminosi. Crinali difficilissimi da gestire, poiché velocemente stucchevoli in mani meno esperte di quelle dei nostri musicisti. Anche con il campionamento da Il discorso del Re il sentimento è quello dell’epifania, della meraviglia e del movimento delicato e sorprendente, a stupire gli ascoltatori con il tocco felice e risolutore.
Open to the Sea stanno diventando sempre più bravi la felice unione fra Enrico, Saverio e Matteo sembra destinata a durare, senza sembrare né supergruppo né progetto estemporaneo, ma gruppo a tutti gli effetti, di gusto, carattere e personalità. Il prossimo passo a rigor di logica dovrebbe essere il riuscire a vederli dal vivo, chissà se il prossimo anno ci riserverà delle sorprese in tal senso?