Nuovo disco dei Necks uscito in estate ma che di certo si farà apprezzare per più di una stagione. Ogni volta che si parla di loro non si può fare a meno di notare la classe con cui portano avanti il progetto oramai da trent’anni. Quel saper coniugare cerebralità, profonda cura del suono e costante necessità espressiva risultando allo stesso tempo avvolgenti e calorosi è una cosa molto rara.
Chris Abrahams (piano), Tony Buck (batteria), e Lloyd Swanton (basso) al giro di boa del ventesimo album continuano a non deludere le aspettative. Anche stavolta la complessità compositiva gode di arrangiamenti puntuali di rara fattura, trasmettendo la sensazione profonda di una musica vissuta interiormente, agita con quell’indiscussa personalità che permette di disco in disco di essere ogni volta diversi eppure sempre con un tocco immediatamente riconoscibile.
L’unica traccia di cinquantasei minuti di Body richiama la consistenza di un mondo tangibile espresso attraverso uno studio personale sul concetto di groove. Ritmo che viene scandito con ostinazione attraverso sospensioni stratificate, dove le ipnotiche sovrapposizioni statiche hanno l’andamento dei dettagli a spingere il suono. Più sanguigno dei suoi predecessori, questo lavoro ci fa conoscere il lato più viscerale dei Necks, dove nelle suggestive rarefazioni di raccordo tra i momenti più compatti spuntano chitarre acustiche (passione fino a poco tempo fa inconfessata di Tony Buck) a dare sostanza e profondità. Fino a un’inaspettata quanto godibile e incisiva apertura rock vera e propria, una intensa cavalcata pulsante che ribolle di tutta la visionarietà delle genuine scorribande kraut dei Neu!; fuga che con elegante progressione viene poi sublimata lentamente in un affascinante ambient fatto di incastri minimi, poetici accordi di pianoforte, barlumi cristallini ed elettronica distensiva. Ancora diversi e ancora un gran bel disco di classe.