Kento, Kombat Rap, parole come spade

Il ritorno di Kento lo aspettavo da tempo. Avendo perso la sua prima fase ed avendolo conosciuto soprattutto per i suoi laboratori di lavoro educativo con i giovani carcerati mi interessava metterlo alla prova su disco: ed ecco Kombat Rap (Time To Rap, 2023). Inizia, e sembra stia gettando le reti in mare come un pescatore, lasciandoci il tempo e lo spazio per riconoscere miti e nomi tutelari. Groove, profondità e senso.
Poi, la trincea di Non Siete Fascisti Ma, singolo che ha goduto di buone possibilità di ascolto grazie ad un contenuto ed un video inappuntabili. Quindi una fuga poetica, la notte, l’amore, il ricordo. Lo spettro nel quale Kento si lancia è ampissimo, lo racconta in Nuovo Classico. È la sua vita a venir raccontata nei brani: i contratti, i cambiamenti, le difficoltà, l’anima di un uomo. Suoni dritti, rime pulite e chiare che ci si stampano addosso. Poi arriva Lucariello da Napoli e si sente la solennità dell’incontro. Alcuni brano sono schegge, morbide come cioccolata fusa o semplicemente a cuore aperto, altreo sono in your face come si faceva una volta, un sentimento di vecchia scuola lavorato da un sound di sostegno che scalda e dà ritmo al messaggio.Quando compare Burru Banton sembra di sentire lo scoppiettio del falò in mezzo alla dancehall, si spinge e si buttano cuore e polmoni oltre l’ostacolo riempiendo di rime le orecchie e di bassi il petto. I collegamenti con un passato storico emerge in diverse situazioni ed è chiaro a quale mondo appartenga Kento, rap di battaglia e rap di cuore, senza paure di schierarsi ne di aprirsi, giocando con il soul, il ragga, il cantautorato (Amore Che Vieni, Amore Che Vai).
Poi la pallacanestro e la gavetta, Come Ginobili, in cui si sente l’odore del pallone, del campetto, della provincia e della voglia di evolvere, nel gioco, nel rap, nello scavare nel passato per costruirsi un futuro. Prima della fine c’è tempo anche per ospitare Johnson Righeira in un brano che è un gioco di specchi, suoni sintetici, droga brutta e Sangue Misto. Io Sono Libero però…
Chiude con tutto e subito, puzza di fumo ed intifada, nuovi ribelli che sorgono. Non piacerà a tutti questo disco, nemmeno a tutti quelli che Kento già lo conoscono, ma è un album talmente colmo di energia spinta nella direzione corretta da rendere impossibile l’indifferenza, dando quindi il giusto riscontro all’opera.

Ora, due domande, per capire, lambiccarci e buttare parole e ponti ancor più avanti:

SODAPOP: Salve Francesco! Molto piacere e grazie mille per la tua disponibilità…vorrei partire, se ti va, proprio dalla tua base, culturale e musicale. Qual’è il primo disco che ricordi aver sentito come tuo (acquistato, ricevuto in regalo, rubato dai tuoi, altro ancora)? Ed il primo approccio con l’Hip-Hop invece? Qual’è stato il tuo battesimo ed in che periodo?
FRANCESCO: Mah, se ti dovessi dire il primo disco che ho sentito autenticamente mio ti direi sicuramente SXM di Sangue Misto: avevo da poco ricevuto un lettore cd come regalo di compleanno e praticamente SXM era lì dentro tutto il tempo, prima che uscisse anche A Volte Ritorno di Lou X e andasse ad affiancarlo. Tutt’ora penso di sapere tutti e due gli album a memoria dalla prima all’ultima traccia. Erano gli anni ‘90, e il rap sembrava essere questa novità pazzesca, anche se in effetti anche qui in Italia c’era chi lo faceva da una decina d’anni. Mi ricordo che ogni tanto mi arrivavano delle videocassette con dei videoclip registrati da chissà quale trasmissione televisiva che a Reggio Calabria non si riusciva a vedere: i Public Enemy, i Run DMC ma anche Michael Franti e Shabba Ranks. Il senso di “alternativo”, di semi-clandestinità nello scoprire e nell’approcciarsi a questa cultura ha avuto sicuramente un ruolo determinante nella mia formazione. Se fosse stata la musica mainstream che ascoltano tutti sinceramente non credo che mi avrebbe incuriosito così tanto.

SODAPOP: ed il passo successivo? Prendi il microfono subito oppure hai una fase da semplice ascoltatore? Già a Reggio Calabria oppure a Roma?
FRANCESCO: “Prendere il microfono” era un’opzione fantascientifica sia perché non c’erano grandi possibilità di farlo, sia perché ai tempi si aveva un rispetto quasi esagerato nei confronti della cultura, e quindi si passavano anni a studiare e lavorare sui testi prima di registrarli e proporli dal vivo. Non c’era assolutamente la prospettiva di farlo diventare un lavoro, il che mi ha fatto affrontare l’Hip-Hop in modo sano e basato più sui valori che sull’aspetto economico. Dall’altro lato, guardando indietro, mi rendo conto di aver perso un sacco di tempo, di aver fatto delle cazzate e di essermi messo in mezzo a situazioni che adesso non farei mie. Ma tant’è… forse anche le perdite di tempo e le cazzate mi hanno portato al punto dove sono adesso e quindi va bene così. Tieni presente che, nei tempi e negli ambienti in cui crescevo, era quasi impensabile essere dentro la cultura Hip-Hop e non cimentarsi almeno in una delle sue discipline quindi il confine tra praticante ed ascoltatore era molto sfumato, se non proprio inesistente. Ma, in ogni caso, ho scritto e buttato circa 200 testi prima di entrare per la prima volta in studio di registrazione.

SODAPOP: Sono passati 14 anni tra Sacco o Vanzetti e Kombat Rap. Si sente tutto il bagaglio culturale e stilistico creato negli anni ma ci sono un sacco di sorprese, che si ricollegano principalmente alla musica italiana (Fabrizio de André, Johnson RigheiraFrancesco Guccini, Sangue Misto) allo sport (Come Ginobili). In Pietre riversi tutto questo tuo bagaglio come presentazione. Questo è Kento dici. In cosa è cambiato il Kento di 14 anni fa dal Kento di oggi? Che parte di bagaglio hai accumulato in questo periodo?
FRANCESCO: Sicuramente il bagaglio più importante mi viene dal lungo tempo passato in prigione per i laboratori di scrittura che tengo con i ragazzi delle carceri minorili. È impossibile uscire da quei cancelli senza sentirsi cambiato, senza che il malessere delle sbarre ti si attacchi addosso. Lì impari a rivalutare una certa superficialità che tendiamo ad avere: forse suona banale, ma capisci che alcune cose che, nel mondo dei liberi, siamo abituati a ritenere fondamentali… forse non lo sono così tanto! Mentre altre, che diamo per scontate, sono quelle probabilmente più importanti. In generale, la differenza tra scrivere un disco a trent’anni e scriverlo a quaranta è che non mi sento di avere nulla da dimostrare, ma tanto da dire. Non ho un’esigenza di posizionamento della mia musica, non mi interessa fare battaglie di conquista nello stupido gioco del rap. Voglio che la penna scorra libera e che il messaggio arrivi forte. E libertà significa non sentirsi legato né al “dover dire” qualcosa né al “dover suonare” in un certo modo. Sono consapevole che questo disco scontenterà alcuni dei miei storici ascoltatori, ma in quanto artista il mio ruolo è esattamente quello di scontentare e creare conflitto, perché è solo dal conflitto che nasce il cambiamento.

SODAPOP: In questo disco riconosco un equilibrio fra la sfera sentimentale, la sfera legata alla storia personale e quella legata alla cultura hip-hop. Ci sono però dei brani che sfuggono ad un facile incasellamento. Che succede? e Non mi parli sembrano rivolgersi ad una figura che non riusciamo a decifrare, forse neppure a vedere. Potresti dirci di più a proposito? Quanto bisogna essere comprensibili nel rap? Quanto personali ed intimi?
FRANCESCO: Per gli standard di oggi, un disco di 15 tracce è un disco molto lungo, ma è quello che mi serviva appunto per raccontare tante storie che raccogliessero sia l’ambito personale che il collettivo. Con lo stesso criterio, alcuni dei testi sono molto espliciti e di comprensione immediata, altri come dici tu sono meno decifrabili, è vero. Da un lato, mi piace inserire dei livelli di ascolto ulteriori, per cui nelle mie liriche c’è parecchio sottotesto, e chi legge tra le righe trova dei mondi interi. Dall’altro, però, non vorrei spiegare troppo i versi più astratti, perché il mio obiettivo è che l’ascoltatore li faccia propri, visto che alcuni sentimenti sono universali, e la malinconia che provi quando ti manca una persona non è così diversa da quando ti manca un luogo o un tempo della tua vita. Le canzoni non sono di chi le scrive ma di chi le ascolta.

SODAPOP: In che tipo di ambiti si muove il tuo cuore al momento? Dischi, libri e film che ti hanno smosso ultimamente ce ne sono? Cose recenti così come classici recuperati…
FRANCESCO: Mentre ti rispondo sto per partire in direzione del Giappone per assistere alla fioritura dei ciliegi, e sto leggendo un bellissimo romanzo di Junichiro Tanizaki che si intitola Neve Sottile. Ho in programma di visitare la casa museo di Tanizaki ad Ashiya, proprio la cittadina dove da qualche anno vive mio fratello con la sua famiglia. Hana wa sakuragi, hito wa bushi. Musicalmente sto riascoltando Claudio Lolli, un gigante della nostra musica e della nostra poesia. Approfitto per consigliare Siamo Noi a Far Ricca la Terra, il libro su Lolli scritto dal mio amico Marco Rovelli.

SODAPOP: Mi ha colpito in particolar modo il brano dedicato a Manu Ginobili. Cosa ha significato avere un fuoriclasse del genere a Reggio Calabria? In che maniera pensi abbia influenzato una generazione di giovani che lo ha visto palleggiare e giocare? La crescita ed il miglioramento sono il fondamento degli sportivi così come dei rapper, pronti a sacrificare se stessi per primeggiare. A che punto del tuo sviluppo tecnico ti senti al momento?
FRANCESCO: L’epopea del basket tra la fine degli ’80 e la fine dei ’90 è stata un periodo straordinario, in cui a noi bambini capitava di giocare nei campetti con Kobe Bryant (suo padre Joe Bryant ha militato nella Viola Reggio Calabria) e, crescendo, vedevi arrivare in città campioni come Ginobili e molti altri. Sia Kobe che Manu hanno tenuto sempre caro questo periodo… non molti sanno che addirittura Kobe faceva anche rap in italiano! Chiaramente, se nei ‘90 eri appassionato di rap e di cultura afroamericana, anche il basket faceva parte del pacchetto e, se Jordan e i supereroi dell’NBA erano lontanissimi e irraggiungibili, facevamo comunque nostra una parte del sogno che per noi non era meno significativa. Guardando indietro, vedo chi ha preso strade diverse e dove quelle strade hanno portato. Purtroppo il mio amico Kobe non è l’unico ad aver incontrato una fine tragica… A noi che rimaniamo resta di provare a capire e imparare qualcosa, e andare avanti. Personalmente, oggi mi sento nel momento migliore della mia carriera sia come autore che come performer. Allo stesso tempo, però, ho molto da migliorare, non sono soddisfatto del contributo che ho dato finora al rap né alla letteratura né alla poesia. Sicuramente posso fare di meglio ma serve costanza e impegno: ti direi che sono ancora al 30% delle mie potenzialità tecniche, liriche e filosofiche. La ricerca continua. Kombat Rap è sicuramente il mio disco migliore, e diventerà il punto di partenza per un nuovo orizzonte di sfida.

SODAPOP: Per concludere, su Sodapop non tratto e non trattiamo molto spesso musica Hip-Hop. Da quando lo leggo e da quando ho iniziato a scriverci posso contare approfondimenti e recensioni sulle dita di una mano. Egreen con Nicolas, Kaos con Chiodi ed il tuo Kombat Rap. Che disco recente o in uscita potresti consigliarmi come prossimo passo?
FRANCESCO: Se si parla di rap italiano, io sono un grande fan di Lord Madness, per cui ti dico che se ascolti un suo disco sicuramente non ti mancheranno gli spunti. Tra quelli che forse non hai sentito nominare ti direi Rosa White, 33, Era 505 e il mio fratellino 1989, che sta anche lui per uscire per Time 2 Rap Records.

SODAPOP: Grazie mille Francesco, a presto e buone cose!
FRANCESCO: Grazie a voi, vi aspetto sotto il palco dei miei prossimi concerti.