Icydawn + Mulo Muto + Daniel Drabek in Involucri Policromatici + after La Straordinaria – 25.03.2023 Tree House (Maroggia) e La Straordinaria (Lugano)

Tree House a Maroggia, primo piano, proprio sopra il negozio di dischi Tondo Music, che ospita la serata.
Presentazione del lavoro collaborativo fra Icydawn, Mulo Muto e Maurizio Bianchi. Inizia Icydawn in solo: Loops, basse frequenze, bassi quasi dub, briciole di suono. Nero, occhiali scuri. Continuità di rimbrottio, suono ascetico ed angelico, Sacha Rovelli sembra un Jason Pierce della dark ambient, una bellezza vederlo finalmente all’opera dal vivo dopo quindici anni di amicizia circa.
Quando arrivano Attila Folklor e Joel Gilardini ( ovvero i Mulo Muto) alle plance allargate di comando il tessuto di Icydawn serve ai tre (più il fonico) per trovare un terreno comune di azione, umbratile e scrosciante suono che potrebbe essere il rollio di un pianeta in fase di ascesa.
Joel, l’unico musicista dotato di corde, si muove in un unione simbiotica con gli arzigogoli digitali e già lo sta facendo anche Daniel Drabek, oscillante capo in prima fila, il prossimo ad entrare nella paranza. Quasi di troppo le immagini retrostanti quando indugiamo sul cinema, sulla visione umana. Qui, ora si è chiaramente altrove, poco utile è l’allacciarsi a ritrite immagini che riportino un universo che può incontrarci unicamente in collisione. Meglio gli effetti grafico visuali concentrici ed astratti che tutto lasciano fluire senza nulla imporre alla mente.
Anche il soffuso impegno fisico, più concentrazione e controllo che trasporto, ci presenta i musicisti come entità che albergano corpi e ruoli senza altro intento che elevare e smontare il nostro piano di realtà.
Quando della musica pop si immette nel gioco, interferendo, qualche stilla di umanità non richiesta ruba la scena per qualche secondo, sbranata dalle frequenze.
Poi Icydawn lascia la piazza al famigerato duo che sembra amplificare un micro aspirapolvere intento a ripulire subdoli interstizi. Sfrigolii, pennate mute, quella sensazione di ciondolamente che troviamo noi noise-geek quando, visitando una fabbrica, troviamo più macchinari con suoni che si intersecano bellissimi. Qui ad occhio e croce siamo nella trasformazione della cellulosa, presse, turbine, natura violata.
L’accesso a questo tipo di suono è talmente a bassa soglia, penetrato il muro di incomunicabilità posto all’entrata, che verrebbe voglia di intervenire, urlando magari una lattina vuota o dimenando monosillabi.
Poi arriva Daniel Drabek, Sacha di soqquatto a sincerarsi sia tutto a posto. T-shirt gialla (unica nota di colore in una scala di grigio-neri), sembra un pac-man che, acceso il suo Mac, mandi cinguettii digitali in pasto al carnaio. Melodie sognanti, quasi tangeriniane a tratti.
Rimasto solo dispiega soluzioni aeree ed ambientali, giusto un filo di mestizia acidula in qualche rimasuglio e, d’incanto, sembra di ritornare alle suite iniziali di Icydawn, condite però da uno spirito a 32-bit di colorata toy music (a costo di sembrare un visionario il mio vicino di sedia, Francesco Giudici, mi ha dato ragione). Gioca sventrando i giri dei suoi dischi digitali, lasciandoci sulla punta della lingua quel sapore frizzolino delle caramelle tiki e quelo sguardo melanconico, rivolto al nostro mondo.
PS: Che fare al termine, dopo lo svaligiamento dei banchetti (Wuornosaileen Bande e Cronaca Nera da Luce Sia più An Moku & Joel Gilardini se non un salto a LA STRAORDINARIA prima di rincasare? I nostri scaldapapere preferiti, i the Pussywarmers, gli idoli della città stanno finendo di suonare in una vera e propria bolgia, in cui il tasso sudorifero nell’aria sfiora il 96%. Provo a lamentarmene con Francesco quando una passante obietta sulla molto più difficile situazione essendo 30 cm più bassa di noi. Prendiamo atto e ci sciancriamo nelle danze, con il loro consueto rock’n’roll primitivo che va a striarsi di velvettismi stupefacenti nell’ultimo loro brano.
Finisce, boccheggio aria fresca scegliendo di fermarmi per i Leopardo, progetto ticino-friborghese del quale  posso solo spendere parole di miele. Riferimenti superclassici nel suono più storto da NY alla provincia, aspetto tremendo nella loro bellezza, capacità di gestire un pubblico tra lo sfascio e l’entusiasmo perfetta. Si barcamenano fra canzoni svisate, anthems, scambi vocali in aria Adam/Kimya e la giocosità che rendono concerti (inaspettati alla fine) come questi, speciali. Non ho mai avuto l’occasione di parlare dei loro dischi (Di Caprio, Is It An Easy Life? e Malcantone) ma mi riprometto di farlo a stretto giro, magari condendo il ripasso con una chiacchiera insieme al buon Noah Sartori.
L’ora è tarda, le orecchie fischiano il giusto, recuperiamo la strada.