Gianluca Becuzzi ‎– We Can Be Everywhere (Final Muzik, 2014)

Altra uscita per Gianluca Becuzzi dopo lo split con Simon Balestrazzi sul singles club Final Muzik, ancora una volta non in solitaria: dei nove brani di We Can Be Everywhere infatti ben sei sono stati composti in collaborazione con altri musicisti, nello specifico due con Svart1, due con Retina.it e due con Deison; a dire la verità il taglio dato da Becuzzi rende il disco omogeneo, non dando per niente l’idea dello spezzatino con troppi ingredienti.  D’altro canto il disco è di Gianluca Becuzzi e le coordinate sonore della sua dark ambient ad alto tasso ansiogeno, suoni cristallini ed atmosfere inquietanti sono fin da subito chiare nella iniziale From This Poem Of Void, dove parti di chitarre trattate in vario modo e clangori vari  (ipotizzo siano di Svart1), voci sussurrate e una sorta di tempesta digitale di fruscii di alte frequenze compongono un lungo brano azzeccatissimo; tempesta di alte che esplode anche all’inizio di The Screaming Torso salvo lasciare spazio ad un bel drone per poi far riaffiorare nel finale echi di rumori misti a trame quasi estatiche. Esauriti i primi due bei brani che vedono collaborare Svart1, è il turno di una cinquina che alterna tre pezzi del solo Becuzzi a due composti con Retina.it: questi ultimi sono i più interessanti di We Can Be Everywhere. Soul At Zero Density e Farer Than Ever fanno uso di ritmiche marziali non scontate, intriganti e per nulla banali (credo farina del sacco di Retina.it) che assieme al delirio sonoro messo in campo costruiscono qualcosa di davvero Lynchiano; i tre pezzi di Becuzzi che stanno attorno fanno ampio e sapiente uso di voci orrorifiche, droni ed alte frequenze e rendendo amalgamata questa parte del disco in modo intelligente, dando al tutto un aurea rituale. Infine ci sono le due collaborazioni assieme a Deison (autore anche del bell’artwork del digipak), il primo dei quali ripropone l’uso interessante di ritmiche e parti ad alte frequenze miscelate con vocalizzi, mentre il pezzo finale è la lunga All The Ghosts Of My Life dove soffiano venti digitali su cui veri e propri fantasmi fanno capolino nelle sabbie sonore del brano, il più ambientale ma non meno inquietante dei suoi predecessori. Lunga escursione negli abissi, We Can Be Everywhere davvero non lascia prigionieri: a patto di essere temprati per l’esperienza vale la pena farsi questo viaggio nell’incubo.