Quello di Garbo è un nome che non necessita di presentazioni. Tuttalpiù vi è concesso, peccato anche mio, non essere informati sugli ultimi sviluppi della sua carriera. Ma poco male, perché appena ascolterete la voce – quella voce – tutti i tasselli andranno al loro posto, e dagli esordi new wave di A Berlino… Va Bene, attraverso la notorietà (anche sanremese) degli anni ‘80 e i meno esposti ’90 e 2000, vi troverete ai giorni nostri, senza necessità di sapere altro.
Il Garbo del 2023 è un autore e un interprete maturo, che non disdegna una certa moderna classicità, ma mantiene il gusto della sperimentazione e della scoperta, sfuggendo al cliché del “mi riarrangio jazz”, sebbene non manchi di cura e raffinatezza. E molta profondità.
Per Nel Vuoto il nostro si è circondato di fidati collaboratori: Eugene, tastierista che lo accompagna in tour, Luca Urbani dei sottovalutatissimi Soerba e Roberto Colombo, già PFM, che contribuiscono a dar forma a un suono vario ma coerente, caratterizzato da un’elettronica non sempre in primo piano ma mai accessoria.
Come Pietre apre il disco strizzando l’occhio al suono dell’ultimo Battiato e con un testo che getta uno sguardo disilluso su un presente dove le parole non hanno più valore, concetto particolarmente significativo dato che la grande cura per le liriche è uno dei punti di forza del lavoro. Tutta la prima parte è all’insegna del pop d’autore, fra partiture d’archi sezionate da gelidi suoni elettronici (Nel Vuoto), il rock e l’elettronica che si combinano magistralmente nella nostalgica Mai Più e il rock, stavolta senza “se” e senza “ma”, de Il Mondo Esplode, che vede i Drieu come backing band. Strano, ma non troppo: il brano è in realtà La Soluzione del quartetto post-punk, leggermente rivisto nella musica e dotato di un nuovo testo – cucitogli addosso con piglio sartoriale – che interpreta, con parole diverse, la stessa tensione e inquietudine che era nell’originale. E poi c’è Sembra, splendida pur essendo fatta quasi di nulla: pochi tocchi di piano, un synth sullo sfondo, la voce e un testo profondo e struggente dove, ancora una volta, in un mondo che sprofonda, l’amore resta l’unico appiglio, ma un amore reso difficile proprio dalla presente realtà.
Da qui in poi abbiamo un netto cambio di scenario, sancito dall’oscuro ambient di Coscienza, che solo sul finale si fa più rarefatto e ci regala un enigmatico haiku. Ora l’elettronica prevale e senza soluzione di continuità si succedono i ritmi sintetici di To Mars (che, sarà il titolo, saranno le sonorità, ma richiama alla mente il duo Eno/Bowie) e le suggestioni spaziali della lunga Contatto, che ci conduce alla fine del lavoro, non senza averci prima regalato un ultimo frammento di seducente pop bilingue. È un finale che rivela definitivamente uno spirito di ricerca e una tensione verso la sperimentazione dei generi che lasciano aperte, per il futuro, molteplici vie.
In chiusura, resta solo una domanda: nel panorama musicale di oggi, fra nuove leve di qualità discutibile e vecchie glorie che ripetono sé stesse all’infinito, qual è la collocazione di un disco come questo? La risposta non esiste: Nel Vuoto fa categoria a sé.