La perseveranza è dote rara e per questo ancor più da apprezzare. Parliamo, nella fattispecie, della continua esplorazione delle regioni più nascoste dell’universo dark-ambient, zone prossime a un fulcro malinconico di rado attraversate dagli alfieri del genere. Se solitamente infatti l’oscurità è materia da contemplare, non di rado in modo compiaciuto, per Empty Chalice rappresenta invece la sostanza in cui immergersi e da cui, faticosamente, tornare in superficie. Raison D’Etre resta un valido termine di paragone per quel che riguarda il mood, ma qui lo stile evolve sempre più verso un dark-ambient che, per stile e toni, definirei cameristico, dove i pochi momenti rumorosi – segnati da battiti metallici di pura matrice industriale e da synth stridenti – esaltano partiture minimali e soffuse, dipinte a tinte fosche. È malinconica poesia noise che si annuncia col senso di d’attesa di Unholy Light, si concretizza in Treblinka’s Snow, coi suoi sintetizzatori traslucidi e il recitato femminile, che da sommesso diventa inquieto e via via muta forma, ma non sostanza, nell’’apnea di Rest In Pain, un orizzonte lampeggiante immerso in un liquido amniotico e nei rumori che si affollano sul fondo illuminato da una luce livida in Qua Resurget Ex Favilla, sempre più distanti fino all’industrioso finale del brano eponimo. Il titolo, Mother Destruction, è interpretabile, ma l’ascolto non lascia dubbi: Empty Chalice ci dice che la distruzione è già avvenuta, il dramma sta nell’essere sopravvissuti.