Quattro chiacchiere al bar (immaginario ovviamente) con Fabio Leggieri, chitarrista dei Dalton: la band capitolina al traguardo del terzo album (Papillon), sempre sotto l’orgoglioso vessillo della Hellnation di Roberto’ Gagliardi. Allontanandoci dai dogmi strettamente oi, abbiamo preferito proporre una riflessione collettiva sul passato (glorioso), sul presente (mostruoso) e sul futuro (oscuro). Ne è uscito un confronto informale fra uomini certamente spaventati, ma pieni di speranza. (Ancora) a cuor leggero.
SODAPOP: Ciao Fabio. Come hai passato il tempo negli ultimi due mesi di reclusione forzata? Hai letto, composto nuovi pezzi, hai visto serie tv interessanti?
FABIO: Ciao Marco, questi due mesi, come spesso accade durante i momenti eccezionali delle nostre vite, sono opportunità che non andrebbero sprecate, quindi ho cercato di approfondire delle riflessioni, ad esempio l’uso e l’abuso dell’arte intesa come creazione, dove la linea che divide l’ego dalla condivisione è assai labile e bugiarda. Per noi creatori di musica è stato un periodo di digiuno narcisistico, un’opportunità che non potevo farmi scappare. La sera era dedicata ai film e ho appurato con tristezza che nelle nuove piattaforme c’è ben poco, quindi ci siamo rifugiati nei film premiati o candidati ai vari festival, e con estrema gioia ho trovato cose molto interessanti, ad esempio The Lighthouse, un vero capolavoro.
SODAPOP: Che idea ti sei fatto del momento epocale che stiamo vivendo? Come pensi ne usciremo, se mai ne usciremo? La domanda nasce anche in relazione a una certa amarezza e disincanto che ho spesso trovato nei testi dei Dalton: cito a caso L’Appartamento oppure La Classe Operaia Resta All’Inferno.
FABIO: Credo che il momento di oggi non capiti a caso, il problema non sono i virus: da una parte abbiamo le psicosi oramai incontrollate dalla maggior parte delle persone, un po’ come se per non voler far figli portassero un profilattico costantemente per tutto il giorno e poi magari la sera, stanchi della cosa, se lo togliessero per fare l’amore. Oramai la propensione a far uscire sempre il peggio di se è una costante, cosa che nei tempi passati magari era differente. Mentre dall’altra parte abbiamo delle lobby che oramai vorrebbero prendere del tutto il potere economico, e parlo delle industrie farmaceutiche e delle varie speculazioni che sono in atto in questo momento. I due fattori si toccano nel momento in cui è la popolazione a chiedere vaccini e altri modi di controllo. Dovremmo sforzarci di essere più individualisti per avere qualche possibilità di una vera socializzazione, la base è la differenza non l’omologazione, così si crea solamente una sfida di superiorità tra singoli identici. L’ Appartamento è un brano che racconta la nostra profondità che difficilmente troviamo il coraggio di raccontare, l’istinto di buttarsi da una finestra è paragonato a quello di non prendere l’ombrello sapendo di bagnarsi. In tutto questo compare il libero arbitrio, la chiave di volta che spesso scordiamo di avere, e il bene e il male perdono di valore in un secondo. Mentre nella classe operaia resta all’inferno, vediamo l’altra faccia della stessa medaglia ovvero il fatalismo che non lascia nessun potere decisionale ad un destino che a volte sembra deciso ed incontrastabile.
SODAPOP: I Dalton non sono un gruppo Oi! O perlomeno lo sono di ispirazione, ma secondo me, con la massima disinvoltura si sono spinti attraverso svariate contaminazioni fino ad un genere completamente proprio ed originale. Unico. Nasce da una dichiarazione d’intenti o dal caso?
FABIO: L’oi è il nostro istinto primordiale che regola non solo la musica ma il nostro essere su questa terra. Forse perché è stata la nostra “salvezza” personale, non so, ma comunque tutto ciò che si fa è imprescindibile da l’oi, come dal punk. L’unico intento che ci siamo ripromessi era quello di seguire i nostri desideri musicali, e ancora siamo ben saldi su quei binari, poi quel che viene viene.
SODAPOP: Quanto è importante il cantautorato della tradizione italiana nelle vostre canzoni? Con quali autori sei cresciuto e soprattutto restando sempre in ambito italiano chi reputi ancora attuale e moderno quantomeno nei contenuti?
FABIO: Il cantautorato italiano è ciò che suoniamo nelle nostre giornate di festa, pane, vino, cicoria ripassata e chitarre classiche che suonano Battisti, Lauzi, Califano, Gaetano, Graziani, Tenco, Dalla, Venditti ecc.. Ma non nascondo affatto che sono cresciuto anche con canzoni di Nada, Fiordaliso, Caselli, Oxa, Leali, Zero, anche se non sono stato un fan accanito, alcuni brani mi hanno accompagnato per anni, sopratutto quelli più lontani.
SODAPOP: Che valore ha il sonetto di Gioacchino Belli (Li du’ ggener’umani) che introduce il nuovo album? Marco Giallini che lo interpreta è un vostro fan?
FABIO: Il sonetto raccoglie un po’ tutto l’album, Papillon, come farebbe una brocca con l’acqua, creando da subito un “ambiente d’ascolto” che ti accompagna per la durata del disco. La possibilità di avere Marco Giallini nell’interpretazione della poesia è venuta da un’intuizione di Aldo Santarelli (coordinatore dell’album). Marco ci aveva conosciuti con l’uscita del 45 giri Ci siamo persi e da lì è nata una stima reciproca che ha portato a questa collaborazione.
SODAPOP: I Dalton sono inevitabilmente intrisi di romanitudine o romanità se preferisci, essendo la vostra città. Ebbene, ho guardato la tua anagrafica e ho visto che non sei più un ragazzino: come la trovi cambiata Roma negli ultimi trent’anni? Mi riferisco in ambito culturale, ma soprattutto in vivibilità. Tu in che quartiere vivi?
FABIO: Si, sono un ex giovane lo ammetto. La borgata da dove vengo è Giardinetti, tra Torre Maura e Tor Vergata sulla Casilina. Roma è la nostra città, sono i nostri amici, i nostri parenti e quindi chiaramente è anche la nostra musica. Strano se fosse il contrario. Mi chiedi come è cambiata Roma? Roma ora la trovi fuori Roma. Il centro è oramai da anni proibito al popolo, i prezzi sono fuori controllo e ora anche gli enti stanno ricontrattando gli affitti poiché hanno venduto alle banche o a privati. Non credo che si possa raccontare in cosa è cambiata diversamente dalle altre città, tutto sta mutando in un’unica omologazione, forse l’unica città che si salva è Napoli, che ancora riesce a mantenere quella sua indipendenza culturale, per il resto è tutto un mega Facebook. Io vivo ad Albano Laziale, ai castelli romani, come d’altronde Giallo il cantante e Alessio il batterista, qui ancora si trova quell’anima popolare che ci ricorda la Roma nostra.
SODAPOP: Un gruppo come i Dalton che, come già detto, travalica il punk per spingersi fino agli stornelli e al cantautorato riesce ad esibirsi dal vivo in contesti variegati oppure per forza di cose (o volontà) resta in ambiti più indipendenti e ancora autogestiti?
FABIO: in questi anni di concerti ne abbiamo fatti molti, tra cui alcuni in “ambiti” per noi di solito anomali, e ci siamo trovati benissimo, forse dopo molti anni a dirci le cose tra di noi è arrivato il momento di condividere quei concetti che per troppo tempo ci siamo tenuti stretti, senza possibilità alcuna di confronto e critica.
SODAPOP: Cosa ne pensi delle nuove generazioni trap nostrane? Per esempio Achille Lauro, Young Signorino o Sfera Ebbasta. E’ il nuovo punk?
FABIO: Non so, l’idea di avere per forza un’opinione sulle persone e metterle nella casella dei buoni o cattivi non è nelle mie abitudini. Qui c’è l’abitudine di togliere, invece io al massimo dico che manca qualcos’altro, e non è togliendo che risolvi semmai un problema. Poi se si parla di esempi positivi mi viene da ridere, se si pensa che un esempio può essere la canzone che parla d’amore in maniera stalker, dove l’uomo è perso se la donna lo lascia, e quindi deve rompergli le palle per una vita intera, sicuramente sono meglio questi ragazzi. Almeno quando li vedo mi incuriosiscono. Se sono il nuovo punk? Bisognerebbe chiedere ai professori, io sono un ripetente.
SODAPOP: Ci sono album di nuova uscita che ti hanno veramente entusiasmato negli ultimi anni? Di qualsiasi ambito, italiano e non.
FABIO:Certo e anche molti, dico gli ultimi, i Black Pumas, e i Nu Guinea con Nuova Napoli.
SODAPOP: Nei vostri testi emergono termini completamente desueti come “classe operaia” oppure addirittura “sottoproletariato”. Sono parole che suonano nella memoria collettiva alla stregua di “scala mobile”, “terroni” oppure che so… “prigioniero politico”. Però sia la classe operaia che il sottoproletariato esistono ancora: che differenza c’è oggi, secondo te, rispetto all’attribuzione che gli davamo negli anni settanta? Rimaniamo se vuoi ai due termini specifici.
FABIO: Beh, almeno nel nostro territorio dove le fabbriche non sono poi molte, la classe operaia si è tramutata in classe precaria, dove sei costretto a racimolare lavori che oltre ad una paga bassa non danno garanzia alcuna, ne’ previdenziale ne’ tanto meno per poter avere prestiti o mutui. Ora sembra quasi che sei fortunato se riesci a farti sfruttare, almeno lavori. Incredibile. Il sottoproletariato invece sembra essere rimasto intatto, come in una bolla di sapone, anzi posso dire che oggi è ancor più evidenziato, effetto di un distanziamento più marcato tra le classi sociali.
SODAPOP: Dove si trova oggi la sinistra italiana? Sono i giovani trotzkisti che ci fermano nelle vie trafficate per venderci Lotta Comunista?
FABIO: Le cose più di sinistra le sento dire oramai dal Papa, credo che non devo aggiungere altro.
SODAPOP: Parliamo del nuovo Papillon. Come lo trovi rispetto agli altri due? Già nel live genovese dell’anno scorso mi pare di averne sentito qualche pezzo. Siete fan del celebre romanzo di Henri Charrière ?
FABIO: Siamo fan della libertà. È una bella cosa a cui pensare, ti fa prendere sonno e alzarti volentieri. Il nuovo album è quasi un concept album, il tema della liberazione dell’uomo viene visto da vari punti, come sempre abbiamo scavato dentro di noi per non deluderci. Quello che ne è uscito fuori è un lavoro fedele alle aspettative. Per questa ragione abbiamo voluto collaborare per la produzione con Glezos, un professionista oltre che una persona intelligente e sensibile, per poi curare anche tutta la parte tecnica al meglio, proprio per rendere anche il suono al livello dei brani.
SODAPOP: Grazie per l’infinita pazienza Fabio. Spero di rivederti prestissimo a Genova, nonostante l’inevitabile e maledetta buca del 14 marzo per i motivi che conosciamo. Ciao!
Foto live di Robertino Zena