Cosmo – Sulle ali del cavallo bianco (42 Records /Sony /Columbia, 2024)

Chi sono, dove sono
Quando sono assente di me
Da dove vengo, dove vado*

Cosmo è un artista con una visione, un’idea precisa del mondo, della società; la musica diviene espressione massima del suo pensiero. Sulle ali del cavallo bianco è la diretta emanazione di una visione rivoluzionaria. La musica pop ci rassicura con strutture fisse, durate e suoni mai fuori controllo, ed è qui che Cosmo gioca e vince la partita. Con le sacrosante differenze, la partita è quella de La Voce del Padrone, dove Battiato, con un suono contemporaneo e strutture apparentemente pop, apriva vie verso altri mondi. Cosmo fa qualcosa di simile con la sua musica dall’apparenza pop, aprendo varchi da cui, volendo, potremmo scivolare verso altre dimensioni.

Come un angelo ci scaraventa subito al centro di una cosmogonia complessa, arcaica e visionaria; un enorme arpeggio di synth fa girare tutta la stanza e al centro c’è lui, Marco Jacopo Bianchi, al pianoforte e voce. “Come un angelo mi porti lontano” ed è un invito al viaggio; “chissà quante scoperte faremo con la mente, rivelazioni, epifanie”. A 0’30” capiamo che con lui potremo varcare la nostra dimensione per viaggi interstellari, fuori e dentro di noi; la voce è lucente e gli essenziali accordi di pianoforte ci toccano direttamente il cuore stringendolo un po’.In Gira che ti gira il pezzo ci si costruisce davanti; gradualmente entrano suoni e strumenti che pacificamente assemblano uno sghembo puzzle sonoro che, una volta completato, vive di vita propria. Se potessimo resettare il pessimo gusto musicale imperante, Gira che ti gira sarebbe un perfetto, altissimo pezzo per una calda estate, calda almeno quanto la voce di Cosmo; dunque da giugno tutti a leccare ghiaccioli dai gusti stupefacenti, ondeggiando al ritmo di questo pezzo.
Talponia è caldissima, le ritmiche si alternano, si intersecano, giocano divertendosi tra di loro mentre Cosmo canta in un vero stato di grazia; la sua voce caldamente roca qui ci culla tra le onde di un’estiva spiaggia solitaria. Ascoltando questo pezzo, ho pensato subito a Tom Zè, al suo tropicalismo laterale e al Manifesto Antropofago, da cui rubo questo frammento che descrive perfettamente Sulle Ali del cavallo bianco: “Una coscienza partecipante, una ritmicità religiosa”. Talponia ci parla di liberazione del corpo e della mente, e se questo davvero avvenisse, non ci sarebbe colonna sonora più appropriata per questa rinascita fisica e culturale.

Una successione reiterata di poche note di pianoforte degna di Steve Reich apre E se, che fa della ripetizione melodica e ritmica strumento per una stupefacente danza apotropaica. Cosmo lo ripete una, cento, mille volte “mi sto cercando dentro di te”; la chiave di volta è la relazione, l’uscita da noi, l’abbandono, la perdita di tutte le nostre paure e inibizioni. Entrano ipnotici flauti stonati che ci fanno muovere come serpenti nella cesta del fachiro incantatore. E se potremmo ascoltarla in un loop sonoro infinito continuando a scoprire nuovi particolari sonori e di senso, fino alla perdita di coscienza dove avverrebbe la rivelazione: E se rinunciassimo al nostro sé?

Troppo forte parte drittissima, ritmo quadrato e spigoloso “muovi il culo e i sentimenti”; per Cosmo è troppo forte chi in questa maledetta società è percepito come il più debole. Ritmi metallici mettono a fuoco da subito la situazione, il ritmo è ossessivo e picchiato. Questo pezzo porta nella bolgia di mani, piedi e sudore della pista la forza della fragilità; il troppo forte di Cosmo è Ninetto Davoli che corre per le strade di Roma brandendo un enorme fiore di carta in Storia di un fiore di carta di Pier Paolo Pasolini.
In L’abbraccio, Cosmo canta “il desiderio che diventa rivolta”; apre con la sola voce, c’è un’intimità sonora intensa e inaspettata, poi parte una ballad che non ti aspetteresti ma di cui forse avevi bisogno; il pezzo è una scalata emozionale; quando entra la chitarra rischiamo di perdere la presa per la troppa emozione, ma l’importante è non guardare giù e continuare a salire. Voci, synth, chitarra e archi ci portano in alto ed è come se Phil Spector dall’inferno lanciasse un pezzetto del suo Wall of Sound a Marco Jacopo Bianchi che lo usa per scrivere una canzone d’amore, di quelle che trascendono il tempo e lo spazio. Tutto un casino fa un’operazione folle e intelligente allo stesso tempo; prende uno dei generi musicali, a mio parere, invecchiati peggio e lo rende attuale. La spina dorsale del pezzo è Jungle, roba che al primo ascolto ho fatto un salto sulla sedia, ma poi mi son detto e bravo Cosmo! Il pattern ritmico ci rimanda subito ad un periodo storico ben definito, un lucido e ingegnoso arrangiamento fa sì che questa pulsazione, che ha segnato a fuoco gli anni ’90, divenga una luccicante macchina del tempo che apre un varco sul passato, mostrandoci contemporaneamente chi eravamo e chi siamo; ognuno ne tragga le dovute conclusioni ma certo la definizione migliore è sicuramente che è Tutto un casino. In Ho un idea, la voce che era stata nuda e cruda sino ad ora è fortemente effettata, robotica, a tratti disumana; il pezzo è una love song su tappeti di acidi synth e dai bpm rallentati. Nel finale siamo di fronte ad un mantra digitale sulla forza dell’intuizione con un Cosmo muezzin cyborg che modula la voce nel vento del deserto.

Momenti ha echi di Mondi lontanissimi di Franco Battiato; il pezzo è una luminosa dissertazione sul tempo e le sue possibili dilatazioni e inversioni, una pacata meditazione accompagnata da percussioni e sintetizzatori con continui stop and go. Le porte di cui parla Cosmo potrebbero non essere reali ma quelle della percezione di Aldous Huxley. Percepiamo un intensissimo desiderio di rinascita che attraverso la ritualità di questi suoni ci sembra possibile. Cullato dalle onde sonore, Cosmo declama versi sulla presa di coscienza personale e collettiva; la sua voce ci giunge da uno stato di quiete, senza increspature, seguendo un pacificato ritmo cardiaco.

Sulle Ali del cavallo bianco, uscito come anteprima del disco, è stato l’amo a cui ho abboccato; non ho mai ascoltato con costanza e attenzione Cosmo, mi sembrava che il suo viaggio fosse parecchio differente dal mio, ma non appena ho sentito le prime battute di questo pezzo mi son detto che forse avevo sbagliato tutto e che invece la visione di Cosmo potesse essere interessante e stimolante. Ascoltando questa splendida composizione, ho pensato subito a Claudio Rocchi e al Battisti di E già; la voce di Cosmo mi ha portato a quella di Rocchi, alla sua irrequietezza, alla sua costante spiazzante ricerca ma anche al Lucio Battisti finalmente libero e felicemente fuori controllo che cantava “E per provare che si può cambiare, sposta il confine di ciò che è normale”.
In Cosmo ho scoperto un artista in perenne movimento alla ricerca dell’essenza del suono; Marco mi sembra vivere intensamente la singola vibrazione sonora. Camuffato sotto forme apparentemente pop, c’è un laboratorio di sperimentazione dove l’artista si mette a nudo e rischia il tutto per tutto, rischia lo schianto perché tenta di alzarsi in volo con le proprie forze senza scendere a patti con la forza di gravità.

Nella storia della musica c’è un altro cavallo bianco a cui ho pensato subito ed è quello su cui siede Nico mentre suo figlio la precede tirando dolcemente le briglie sulla copertina di Desertshore. Cosa c’entra quel disco con Sulle ali del cavallo bianco? Tenuto conto delle radicali differenze, sono opere sonore che tentano di trascendere questo mondo facendocene intuire altri. C’è poi un terzo cavallo bianco in questa catena di pensieri associativi che mi ha assalito mentre ascoltavo il disco ed è Il trionfo della morte a Palazzo Abatellis a Palermo; lì il cavallo bianco giunge da un’altra dimensione per mettere in crisi la realtà e renderne possibili altre. Cosmo è Nico, Cosmo è il trionfo della Morte, Cosmo è radicalmente se stesso mettendoci davanti alla domanda delle domande: noi chi siamo?

Il messaggio è un non messaggio, non è possibile dare delle certezze, comunicare delle verità inscalfibili; quello che ci dice nel gran finale Cosmo è che noi siamo il qui ed ora, quello che proviamo è la nostra torcia nelle tenebre, la forza che ci permetterà di dare luce ad una nuova umanità dopo l’apocalisse imminente. Negli ultimi 30 secondi di rumori ambientali stiamo risalendo un fiume alla ricerca non sappiamo di chi o di che cosa, ma siamo vivi e alla ricerca, questo è l’essenziale.

*Chanson egocentrique di Franco Battiato