Connettendosi obliquamente a Giacomo Meschini. Ed a Joel, Davide, Michele ed Attila.

Conosco Giacomo Meschini da anni ormai, da sempre impegnato nel connettere e nel ricercare sistemi per far passare certa cultura al di fuori dei canali usuali. Con the Parders da anni sta costruendo, al limitare della scena caratterizzata dal Festival del Film di Locarno fondato nel 1946, giunto quest’anno alla sua 78esima edizione. Ma qualcosa è successo a the Parders ed a Giacomo in questi anni, qualcosa che ha cambiato in parte la loro ottica di attività spingendoli sul limitare di certa noise music condivisa. Non potendo perdere l’occasione per parlarvi di Oblique Connections in maniera estesa questo è il resoconto della nostra intervista.

SODAPOP:Oblique Connections è la prima produzione audio di The Parders, Associazione attiva nell’ambito culturale artistico dal?

GIACOMO MESCHINI: Dal 2003!

SODAPOP: Avete operato sostanzialmente durante il Film Festival di Locarno, è corretto? Da quante persone è composta the Parders?

GIACOMO MESCHINI: È molto organico in realtà…sì, operiamo durante il festival ed il tutto è nato dall’esperienza di un gruppo di amici che durante ed alla fine del liceo iniziò a seguire assiduamente il festival. Poi manie di protagonismo, il non voler essere semplicemente spettatori e ci siamo creati uno spazio dove organizzare delle piccole mostre. L’organico…al centro ci sono stato io e la fortuna è che negli anni si sono sviluppate personalità che hanno intrapreso vite professionali e percorsi di studio che sono stati utili all’associazione. Penso ad Elisa Rusca che è diventata curatrice del Museo della Croce Rossa a Ginevra, lei ha dato contributi attraverso il suo sguardo tramite articoli, recensioni sui film, contributi, organizzando residenze artistiche, invitando anche personaggi come Reza Katir. Penso ad Alessandro Ligato, personaggio ed amico con il quale ne abbiamo combinate di cotte e di crude. Ha collaborato sia come fotografo ufficiale sia come invitato a quelle che sono state piccole esposizioni, presentazioni, come fotografo di diverse edizioni della fanzine che abbiamo sempre regolarmente stampato. A sua volta ha coinvolto amici come Tiziano Doria (anche attivo musicalmente con i Lavorazioni Carni Rosse, ndr.) di cinema 8mm…diciamo che si è sviluppata intorno all amia figura ed alle mie amcizie.

SODAPOP: Voi lavoravate all’interno del Festival: c’era una collaborazione ufficiale oppure trattasi di semplice convivenza?

GIACOMO MESCHINI: Una collaborazione no, eravamo autonomi e secondo me questa è stata una piccola occasione persa perché negli anni una conoscenza si era creata; the Parders è stato un laboratorio di idee che poi il festival, tramite persone fisiche, ha provato a fare un po’ proprie. Ovvio, fa piacere essere stati in qualche modo pionieri, facendo qualcosa per primi della quale poi è stata riconosciuta l’importanza il Festival ha ripreso all’interno dei suoi dieci giorni. L’esperienza di dayscamp come laboratorio, come incubatore, ha portato poi il festival a coinvolgere artisti per delle piccole pubblicazioni, delle possibilità di dare spazio ad artisti giovani di creare qualcosa. Non soltanto creare cultura attraverso i film che il festival propone ma anche portare degli attori che sappiano risuonare in base alle vibrazioni che emette il festival stesso. Locarno si trasforma in un contesto dinamico ed in dieci giorni puoi farti conoscenze per le quali non basterebbe una vita. Quindi nessun riconoscimento ufficiale ma per due anni c’è stato un inizio di collaborazione, che mi ha orientato verso the Parders all night long, che verteva sull’incontro all’interno del divertimento serale. Essendo il pubblico del festival aperto anche ad un tipo di musica e di intrattenimento piuttosto aperto avevamo valutato una pista in questo senso ma senza il loro sostegno ci ha portati ad un bagno di realtà ed il disco è probabilmente l’epilogo di questa esperienza.

SODAPOP: Festival di Locarno, cinema. Quel che ci sta attorno, riunendo pubblico, filmakers ed interessati può essere un crogiuolo di creatività. La situazione musicale locarnese è invece assolutamente mainstream tramite il Moon and Stars, quindi la visione istituzionale che si ha delle due arti è diametralmente opposta. Forse è meglio che queste azioni sonore siano lasciate ad entità autonome come per l’appunto the Parders…ma come siete arrivati alla musica? Che riflessione c’è stata per spostare un media visuale verso il mondo sonoro?

GIACOMO MESCHNI: L’intenzione, sin da subito, tramite esperienze legate all’immagine avevano l’obiettivo di portare le persone ad incontrarsi, cosa che si può ben fare in un ambiente dove magari non segui una conferenza ma anche il divertimento serale può offrire un contesto dove se ci sono gli ingredienti (elementi umani di qualità, un pubblico ricettivo e sensibile, internazionale anche in questo caso), e l’input è quello di una proposta musicale trasversale si riesce ad innescare un meccanismo meno anonimo. La cultura cinematografice che si porta a Locarno è d’avanguardia, d’autore e sperimentale ed anche per la musica abbiamo pensato di andare in questa direzione, non passando al riconoscimento superficiale ma andando su terreni dove potersi riconoscere in nuove situazioni.

SODAPOP: I primi passi in questo senso sono state le residenze artistiche al Bar Mono di Locarno, esatto?

GIACOMO MESCHINI: Corretto, tramite Massimo Zoni, il gestore del Bar che negli anni, insieme a Risonanza Rec, ha portato avanti una programmazione meno allineata. Potendo contare su questi contatti ci siamo concentrati facendo sì che durante il festival in questo luogo arrivasse un certo tipo di musica. Se di norma una programmazione di questo tipo trovava spazio nel loro calendario ogni due o tre mesi abbiamo pensato di sviluppare un calendario attraverso una sorta di crowdfounding che però non è mai decollato (e che sarebbe andato a gestire direttamente le esibizioni dal vivo). Una volta programmata la prima serata è scoppiato il COVID che ha letteralmente bloccato il tutto: deputati erano Gianni Bassi ed Henry, con una marathona di DJ Set su due diversi locali, ma siamo stati mandati tutti a casa. Essendo docente (di disegno ed arti plastiche) avevo del tempo ed ho iniziato a documentarmi ed a cimentarmi nello streaming. Massimo ci ha dato la disponibilità dello spazio ed abbiamo iniziato a lavorare in primis con Gianni e Mox, poi raggiunti da Alevy, Attila Folklor, Michele Bianchi, Davide Botta, Julie Doschin e Bastien Arnaud. Si era creata una situazione dove poter coinvolgere dj ed artisti che avrei voluto invitare, creando comunque dei canali interessanti. DI molte di queste sessioni abbiamo il montaggio visibile sul canale youtube di theparders.

SODAPOP: Lo streaming online mi è sempre sembrato un progetto di credenza: seguendo gusto e visione personale si da carta bianca al musicista e dj venendo poi anche sorpresi da quel che potrebbe succedere. Che tipo di riscontri e di feedback hai avuto questa cosa?

GIACOMO MESCHINI: Non ho avuto nessun genere di feedback perchê non ne ho mai cercati, andando a sondare i canali…principalmente è stata una sfids personale realizzare queste registrazioni anche per il piacere di videomaking, riprese, montaggio che mi piace curare, creando un prodotto che potesse essere intrigante sia audio che video, anche perché essendo chiusi in casa poteva essere una sorta di svago, con un’ambientazione reale del live.

Questo periodo di streaming quando finisce? L’ultimo appuntamento qual è stato?

GIACOMO MESCHINI: Non saprei dire esattamente, fra aprile e maggio 2020, perché con la bella stagione continuare a rimanere all’interno sarebbe stato peccato; c’erano delle mezze aperture ed iniziai a prendere contatto con diverse location per proporre degli eventi esterni con le distanze di sicurezza dovute dal periodo. L’idea era di riunire a cerchi le persone affinche potessero fruire della musica discretamente con un ricevitore radio da applicare ad un boom-box, cercando spazi suggestivi come il Monte Verità a Locarno, Villa dei Cedri a Bellinzona, le Gole della Breggia a Morbio Inferiore ed il castello di Montebello a Bellinzona ed il teatro Dimitri di Verscio, dove Oblique Connections. Poi per del caos informativo è saltata la data di Bellinzona ed a seguito altre due situazioni…mentre Dimitri ha tenuto botta ed abbiamo portato avanti la proposta all’interno del parco. Abbiamo pensato al servizio bar, al catering e piano piano ci siamo arrivati.

Scelta coraggiosa quella di Oblique Connections dal punto di vista artistico però!

GIACOMO MESCHINI: Certo, ma come tutte! Ma se l’artista è sicuro di sé deve avere massima libertà ed a me è rimasta la possibilità di dargli carta bianca. Il tuto si è diviso in due momenti, con tre serate musicali organizzate a Verscio. Una di queste ha ospitato Oblique Connections, che poi, in parallelo, hanno portato avanti le registrazioni nel parco del teatro Dimitri, quindi i musicisti hanno sfruttato al meglio le possibilità di espressione, improvvisazione ed ispirazione, cercando ed assorbendo nell’ambiente esterno elementi sonori.

Qual è stata la risposta del pubblico? Che tipo di ambiente si è creato?

GIACOMO MESCHINI: Molto interessante da un lato ed il classico schianto contro il muro della realtà numerica ticinese dall’altro, per circa 40 unità di pubblico a serata. L’ultima sera abbiamo avuto a disposizione la tenda del circo, con varie proiezioni, creando ambienti suggestivi.

Siete arrivati ad un percorso di ideazione, produzione e stampa di un prodotto musicale. Cosa vi ha portato a svolgere tutti i passi del percorso?

GIACOMO MESCHINI: Il medesimo che ci ha portato a realizzare tutte le fanzine con the Parders. Ne facemmo tre o quattro, una addirittura coinvolgendo fotografi del calibro di Carlo Rusca, Steven Caddy, Robin Bervini ed Alessandro Ligato. Una con dei partecipanti ad un workshop gestito da Alessandro Ligato ed un’altra coinvolgendo in piccola parte il festival ed integrando un gruppo di ragazzi con dei profili di studio differenti da quelli inerenti all’arte invitati e che avrebbero dovuto restituire un feedback dell’esperienza per andare a capire le impressioni di chi si ritrovava fuori contesto.
La fanzine era un modo di mettere insieme un’idea che poteva essere quella di esposizione ma con molto mena sbatta produttiva, in una tiratura che andava legandosi al numero dell’edizione del Festival, quindi sulla settantina, che venivano poi regalate da noi post-festival.

La scelta di stampare il disco è una scelta tua od i musicisti hanno capito che ne valeva la pena?

GIACOMO MESCHINI: Possibile che l’idea fosse nata in maniera orchestrale ma i musicisti poi ci tenevano molto, ne abbuamo parlato per capire che tiratura, supporto e tutta la linea. È stata un’uscita che per me segna un epilogo in qualche modo mentre per i musicisti è una produzione che rientra nel loro percorso discografico a tuto tondo.

Trovo sia anche una bella immagine della scena ticinese, mettendo quattro persone diverse insieme in un luogo suggestivo facendoli viaggiare nel territorio locale con successo. Ora siamo usciti dal COVID, bene o male le cose sono tornate a girare…questa deviazione musicale rimarrà un unicum oppure hai in mente altro?

GIACOMO MESCHINI: Probabile rimarrà un unicum anche perchè preferisco fare una cosa buona quando si è ispirati invece che trascinarsi o lottare contro i mulini a vento. Mi ha lasciato una bellissima esperienza in una realtà che non conosco bene, lavorando con musicisti di un genere musicale che fondamentalmente non conosco, quindi un’apertura su un mondo a me nuovo. Bellissima esperienza anche se mi spaice di aver allungato i tempi di produzione…la rifarei se vivessimo in una società ideale dove poter percorrere le proprie passioni senza le imposizioni sociali che ci portano spesso a relegare ad hobby alcune pratiche. Sono cose che richiedono energie, dei tempi che raramente si combinano coi ritmi della mia attività lavorativa. Credo sia comunque stato un periodo che ha portato ad una maggior elaborazione artistica da parte delle persone, portando quindi un aumento del valore autoriale dei musicisti a livello espressivo.

SODAPOP: Grazie mille Giacomo per il tuo racconto!

SODAPOP: Ai musicisti ho invece chiesto due semplici domande.
Che ricordo hai di Oblique Connections?
Credi siate riusciti in qualche modo a rappresentare il Ticino in forma sonora?

ATTILA FOLKLOR: Ho un ricordo molto bello nonostante il periodo per alcuni apparentemente poco propizio per trovarsi e vivere qualcosa in comune con altri individui potenzialmente portatori di morte hehehehe (2020…). L’aspetto collaborativo è stato senz’altro il più importante ed affascinante dell’esperienza, nonostante il lavoro di produzione (logistica, registrazione, mix e master) sia stato sicuramente impegnativo ed oneroso. Un esperimento certamente ben riuscito ma che, giustamente (!), suona ormai già vecchio e forse lontano per le mie orecchie. Pensi siate riusciti in qualche modo a rappresentare il Ticino in forma sonora? Non credo che il vestito che abbiamo tessuto e cucito attorno al disco sia effettivamente rappresentativo di un qualsivoglia contesto geografico allargato. Penso però che siamo stati bravi ad inventarci una storia ed una contestualizzazione accattivante coadiuvate da una resa grafica e materialistica molto pulita. Per me rimangono i momenti ed il luogo di incontro fra le persone che hanno reso possibile questa produzione. Il Ticino in forma sonora è triste ed è probabilmente più prossimo al bordello di una guggen e ad una playlist contenente gli evergreen anni ’90 di musica trance e trash. Dico così perché fra Toto Cavadini e la musica da carnevale non so cosa sia più erroneamente associato al territorio. Io preferisco un mix di rumore e campanacci.

JOEL GILARDINI: 3 frasi… hai voglia eheheeh.. Ho un ricordo molto positivo di questa esperienza. Eravamo freschi dal primo lockdown e pandemia, e quando fui contatto da Attila in merito alla cosa (e come sai lui per me è il mio fratello adottivo grazie al rumore de Mulo Muto), già cosi’ alla cieca non ho saputo rifiutare. Innanzitutto fui in primis folgorato dalla proposta per quei tempi fortissima: un concerto in un parco all’aperto, con radioline bluetooth per permette alla gente di godersi la serata (o pomeriggio) un tutta “sicurezza e distanza” nel caldo sole di quelle giornate estive. Cioè… a Zurigo per farti un esempio NESSUNO ha mai proposto una cosa simile in quel periodo (o nessuno ha avuto la fantasia di arrivare ad idee simili…eheh)! É stato un grandissimo piacere riabbracciare vecchi amici, trovarne di nuovi e farci anche musica e rumore assieme! E poi il tutto in quell’angolo pittoresco del paese di Verscio ed il giardino della fondazione Dimitri (si dammi pure dello zukkino ora ahahahaha, ma ti diro’ che essendo cresciuto in quel di Lugano e dintorni, non importa dove e come, ma il Ticino o il Grigioni italiano ha sempre avuto un’aura particolare su di me, disem inscí… qualcosa di famigliare e sentimentale). É questo disco una rappresentazione del Ticino in musica? Ma forse si, forse no. Di sicuro è la rappresentazione di 4 Ticinesi che si sono messi a fare musica assieme, e la coesione delle forze in ballo si sente. Per me suonare con gente diversa ed in posti diversi è sempre stato un motore creativo importante. E di sicuro l’idea di fare le prove non in una saletta chiusa chissà dove ma proprio nel mezzo di quel giardino a Verscio ha alimentato ancora di piu’ il mood della musica e dei musicisti. Verscio per noi è stato in tal modo un punto d’incontro tra 4 entità (o 5 se contiamo Giacomo, che senza di lui questa produzione non ci sarebbe stata!), da 4 angoli differenti del cantone. mah… forse si… in lato metaforico questo cantone in un qualche modo l’abbiamo sonificato a nostro modo.

MICHELE BIANCHI: Allora, ad essere onesti delle due sessioni di Oblique io fui purtroppo presente solamente alla seconda a causa di impegni di lavoro. In tre frasi, ci proverò sperando di non dilungarmi troppo. Sicuramente quel che ricordo con più piacere era il luogo nel quale abbiamo registrato, essendo sempre stato un fanatico della natura e avendone fatto una parte quasi centrale in BRTHRM, avere l’occasione di trovarsi in piena estate all’ombra di alberi all’interno di un giardino come quello del Dimitri è stati sicuramente il valore aggiunto. Ricordo con piacere anche il modo nel quale tutti i pezzi del puzzle si sono incastrati in maniera naturale, pur venendo da background differenti, con approcci differenti e con strumenti differenti (chi più chi meno) siamo riusciti a ad incastrare una parte di noi nel flusso sonoro senza eccessiva pianificazione al di fuori di scale e qualche altra linea guida generale, questa mia sensazione è forse anche aiutata dal fatto che gli altri 3 avevano già avuto modo di incontrarsi per la prima sessione e quindi testare la chimica tra di loro, dal canto mio avevo già collaborato in contesti simili con Joe e Attilio come Mulo Muto nella collaborazione con R-13 (quindi con sonorità parecchio diverse) e con Attilio come Ruscada al Mono in occasione di un live stream organizzato da Giacomo. Sono due frasi già belle lunghe, non so se ne serva una terza eh eheheh dimmi te. Se siamo riusciti a rappresentare il Ticino in forma sonora? Non saprei, non credo fosse nemmeno lo scopo principale della collaborazione, mi piace pensare che siamo riusciti a rappresentare la volontà di creare qualcosa in un periodo avverso (ai tempi seppur in estate eravamo comunque ancora in periodo di pandemia) unendoci con lo scopo di usare i nostri punti di forza a favore di in risultato finale che appaggasse tutti, può essere una metafora per molte cose ma più che una rappresentazione del Ticino è forse qualcosa di cui il Ticino avrebbe bisogno su più livelli.

DAVIDE BOTTA: È stata un’esperienza unica, per me è stata la prima volta in un progetto di questo tipo. Il parco è stato davvero un luogo molto suggestivo ed improvvisare in quell’ambiente ha sicuramente contribuito alla nostra creatività ed appunto alla nostra connessione.
Non so se in qualche modo possa rappresentare il Ticino questo lavoro, quello di cui sono sicuro però è che sicuramente ognuno di noi è riuscito a rappresentare qualcosa di se stesso in maniera onesta e sincera, questo penso emerga ascoltando il disco.

SODAPOP: Con le testimonianze dei musicisti chiudiamo l’immersione fra la scena noise ticinese e ringraziamo per l’attenzione.