Kim Gordon – the Collective (Matador, 2024)

Ben 5 anni dopo No Home Record torna Kim Gordon con nuovo disco, the Collective, registrato a Los Angeles e prodotto da Justin Raisen, che già aveva lavorato con Drake, John Cale e Charlie XCX. Si attacca con BYE BYE e l’atmosfera è subito metropolitana, speech che parla la lingua dell’hip-hop su arrangiamenti scuri e ruvidi. Con il passare dei minuti la luce si fa sempre più fioca e l’atmosfera più tagliente, quasi un tunnel da Gaspar Noé. La voce di Kim è esasperata, lasciando sui nastri carne ed esitazioni, collegandosi in qualche modo a dei resti di anni ’80 in maniera non dissimile da certo Alan Vega da solista. La scaletta non lascia la linea intrapresa anzi, scava in propfondità, senza spiragli di luce che non siano flash stroboscopici in un ambiento malsano ed ottuso. Quando appare una linea di chitarra, sul finire di It’s Dark Inside, è un’ulteriore colata di pece, particamente doom. La voce si fa via via spiritata e profonda a tratti, in qualche caso sembrano addirittura trasparire accenni witch house insieme a linee vocali trap, come ad esempio Psychedelic Orgasm, forse la vera summa dell’album. Il marciume che si espande nelle tracce è realmente apprezzabile, oltre a Noé viene in mente Harmony Korine per riuscire a mischiare in maneria così coerente questo scarto.
Ad apparire, sulla scaletta, forse è un po’ di monotonia, che si sarebbe potuta evitare a mio parere con l’inserimento di qualche seconda voce a contraltare, magari maschile, penso ad un Serpentwithfeet oppure ad un Jpegmafia (quanto ganzo sarebbe stato?). Intrigante sarà ora cercare di capire come un lavoro come questo possa essere trasferito dal vivo (in un tour che la porterà anche in Europa senza purtroppo tappe italiane), intanto ci godiamo il disco, che non appena alza giri e voci scuote e non poco come nella splendida The Believers. La chiusura è affidata alla disperata Dream Dollar, perfetto finale in crescendo per un disco tanto minimale quanto intenso.