CIGNO – Nada! Nada! Nada! (Autoprodotto, 2023)

Il nuovo disco di CIGNO inizia come un sabba scatenato, inizia con l’orrore. L’orrore di chi si confronta con il distacco del proprio superiore, sia esso un’entità, un capo od un partner. Sembra che il campo d’azione, rispetto all’esordio, sia definitivamente tracimato, andando a cogliere l’intera vita, nelle sfere che la compongono, come atto drammatico e di rottura. Sin dall’immagine di copertina veniamo schiaffati davanti all’immenso, quasi gettati negli antri più oscuri dei cammini danteschi. Le percussioni, la pece e le chitarre urlanti fanno poi il resto. Un grand guignol composto da diverse pietanze, stanze e sostanze. A tratti sembra quasi di essere tornato in quel teatro degli orrori nel 2007, con una Carnaio che è una continuità beffarda ed agghiacciante al medesimo tempo. Nada! Nada! Nada! è mondo, è l’Italia delle province, è la Russia sovietica, è il Messico del 1937, è la Spagna che batte tacchi e cuori sotto Franco. È la chiesa con le sue lordure, è il mondo verso il baratro. Quell’esordio di Cigno mi era sembrato una valida proiezione fatta all’interno di una fabbrica, poster alle pareti ed intenti, impegni e fatiche. Questo seguito no, qui c’è il mondo, qui c’è il battere dei piedi su mari e continenti, c’è l’innalzarsi verso gli dei e le spire infernali che sembrano richiamarci. C’è la macchina, pulsante, ritmica, cuore umano estremizzato e lanciato sugli scudi, c’è una rivolta a tappeto, all’interno ed all’esterno, sfogo salvifico per risorgere dalle proprie ceneri come una fenice urlante ed incazzata.
A tratti fa paura, una paura da brividi: Pax è da brividi sulla schiena, Ogochukwu mette in mostra una giostra del dolore abietta, una Frate Dolcino vengono amputati naso e pene, una Censure e torture. Stefano cucchi tra le fiamme. Vien voglia di urlare, bestemmiare e tirar testate contro il muro per distogliersi dalle quintalate di merda sparsa in questo disco, diretta a testa e cuore, ricoprendoci di lordume.
È un brutto mondo, dipinto da un disco splendido.
Stiamoci.
Stiamoci ma vediamo anche cosa ci racconta Diego Cignitti di questo disco, della sua genesi e di eventuali sviluppi:

SODAPOP: Salve Diego, un disco dopo tredici mesi rispetto al tuo esordio. Quando hai iniziato a
pensarlo, strutturarlo e che differenza di input ti hanno spinto a scelte che mi sembrano più
profonde ed universali rispetto a Morte e pianto rituale?
CIGNO: Non posso parlare di scelta.
Credo di essere stato impossessato, i miei demoni interiori hanno deciso, hanno preteso.
Non che poi sia così male dimenticarsi di sé, e lasciarsi guidare.
Anche ora che questo album è finito, comincio a sentire altre voci dentro di me.

SODAPOP: In alcune tracce il dolore e lo sgomento rispetto agli scenari trattati prende il
sopravvento, trasformando quella che inizialmente supponevo fosse musica in auto-osservazione, rigetto, vergogna. Ti soffermi mai sugli effetti che certa musica può causare nell’ascoltatore? Che tipo di reazione hanno avuto le persone a te vicine quando hai fatto ascoltare loro il nuovo disco (se lo hai fatto)?
CIGNO: Il borghese di solito si scandalizza, perché nell’arte vuole essere rassicurato.
Io penso che la musica debba far male dentro, debba essere curativa, catartica, rivelatrice.
Ho una visione misterica del processo di ascolto e di esperienza musicale.
Stravolgere e traumatizzare.
Arrivare all’estasi dall’abbandono.

SODAPOP: Visti i nomi e la quantità di strumentisti presenti nell’album par da pensare sia stato un lavoro grosso. Come vi siete organizzati in studio? Che tipo di struttura avevi in mente di dargli?
Ho notato un suono compatto, drammatico ma mai pesante o tronfio, assolutamente centrato nel passare un messaggio ed uno stato d’animo.
CIGNO: Ognuno di loro ha avuto la libertà di potersi esprimere. Di poter impressionare il proprio dolore sulle tracce. Conseguentemente nel mixaggio ho cercato di gestire e dosare la loro rabbia in modo che potesse convivere, anche scontrandosi.
Per me è un privilegio poter continuare un certo tipo di lavoro con loro, che si intreccia
inevitabilmente anche con un percorso interiore ed esistenziale.
Su alcune tracce ho chiesto di piangere, su altre di urlare, di respirare, di ballare.
Questo disco è stato un’ossessione, un viaggio da cui non si torna più.

SODAPOP: Ascoltandoti i riferimenti che colgo sono ovviamente legati alla storia della musica
italiana. Sul disco precedente avevo avvicinato Kabul a Giovanni Lindo Ferretti mentre in questa occasione invece in questo disco Carnaio mi ha riportato al primo Pierpaolo Capovilla. Con che musica sei cresciuto? Con che riferimento è nato questo CIGNO?
CIGNO: Mi sembra ovvio che i riferimenti che hai menzionato abbiano fatto parte della mia formazione culturale.
In realtà però prima che scrivessi Nada!Nada!Nada! ho avuto modo di approfondire realtà extra-musicali
come il teatro di Ettore Petrolini, personaggi rivoluzionari come Thomas Müntzer ma anche e
soprattutto la cultura rave. Ho trovato a volte conforto nella pratica dell’esicasmo dei padri del deserto, nella mortificazione dei sensi.

SODAPOP: Abbiamo speranza come genere umano alla luce dei nostri operati? Che tipo di futuro ci aspetterà? Riuscirai a produrre un terzo album di CIGNO prima dell’irrimediabile cataclisma?
CIGNO: Il cataclisma è accaduto quando l’uomo ha messo piede sulla terra.
L’antropocentrismo è pericoloso, abbiamo distrutto tutto, non facciamo altro che consumare e
sopravvalutarci.
Se vogliamo cambiare qualcosa dobbiamo togliere dal vocabolario la parola “speranza” e inziare a fare ciò che è possibile: lavorare e progettare (sprogettandosi).
Sperano e auspicano i politici, i preti, ossia tutti coloro che sulla nostra speranza lucrano, essendo noi timorati dal loro potere.
Lotta al potere!
In ogni sua forma, con tutti gli strumenti che abbiamo a nostra disposizione: un nuovo album, per esempio.