Built To Spill – When The Wind Forgets Your Name (Sub Pop, 2022)

Ricordo anni fa di aver recuperato l’esordio dei Built To Spill su suggestione di mio fratello, correva forse il 1995 ed Ultimate Alternative Wavers aveva una copertina agghiacciante ma in nuce portava già i semi che avrebbero fatto grandi Doug Martsch e sodali.
Parlarne 27 anni più tardi da la statura al progetto (parafrasando la carriera di Neil Young diciamo che, anno più anno meno, è quanto intercorre fra Zuma e Greendale) e quindi ci ritroviamo con When the Wind Forget Your Names, composto ritmicamente da Doug  insieme ai musicisti brasiliani Le Almeida e João Casaes degli Oruã, e sovraincidendo chitarre e voci nella sua Idaho.
Il suono è 100% Built to Spill, trascinante e terreo ma si sente un’apertura creativa serpeggiante. Dopo averci dato quel dono che è stato l’album a Daniel Johnston qui si ritorna su temi e suoni classici, ma con una palette di colore più vivida, sette anni dopo l’ultimo album autografo. Lirici, lanciati ed aerei, chitarre lanciate da marchio di fabbrica e la voce di Doug, che si riconoscerebbe da miglia e che è il marchio distintivo dei Built To Spill. Il disco fila che è una meraviglia ed è tutt’altro che di maniera, ma un’attualizzazione di un suono che fra il 1996 ed il 1998 è diventato immediatamente un classico. Basta sentire una Rocksteady leggera leggera ed assolutamente deliziosa, perfetto brano pop domenicale, il nervosismo di Spiderweb, la doppietta Never Alright ed Alright, tirata, nervosa e bulbosa la prima, aperta e lucente la seconda. Arrivando all’ultimo brano, un treno di 8:27 minuti chiamato Comes a Day penso al titolo dell’album ed al vento che può scorrere all’entrata di Boise, Idaho, sulla Highway 21. Nessuno potra mai scordare il loro nome, nati per spargersi, rimanendo ovunque. Ed il futuro? Chi lo sa, al momento sono entrate nella band Teresa Esguerra e Melanie Radford e la connessione con gli Oruã non si fermerà, si sente puzza di prossime evoluzioni nelle prossime uscite…