Alberto Boccardi – Fingers (Important/Cat|Sun, 2015)

Alberto Boccardi si dà al rock? A chi ricorda le sue prime esibizioni, dove armeggiava con le macchine imbracciando l’inseparabile Telecaster – un po’ in stile Ligabue, ce lo conceda, anche se lui la usava- la cosa potrebbe non sorprendere troppo, ma, sebbene sia questo un lavoro che in vari punti punta in quella direzione, le cose non sono così semplici né così lineari.
Non è infatti tanto una questione stilistica quanto una certa fisicità e ruvidità del suono di questo disco che ci fa pensare al rock, risultato probabile della presenza di tanti musicisti in carne, ossa e strumenti (Valgeir Sigurðsson a piano, percussioni e vibrafono, Luca Rampini al sax, Antonio Bertoni al contrabbasso, Paolo Mongardi alla batteria, Matteo Bennici al violoncello, Eloisa Manera al violino, Rella, Maurizio Abate, Adele Pappalardo, Lucy Wilson alle voci, Nicola Ratti all’elettronica). Fingers (il titolo, che pare alludere a questa presenza umana, è azzeccatissimo) è un po’ il punto di arrivo delle esperienze della prima fase della carriera di Boccardi: troviamo la tendenza all’ascoltabilità, pur in un contesto di ricerca, che caratterizzava il primo lavoro su Fratto Nove, i field recordings figli dell’esperienza con l’AIPS Collective, l’interesse per i ritmi che abbiamo visto farsi via via più presente nei live e non ultima la capacità di Boccardi di essere “agitatore di uomini”, che si concretizza nella la presenza di musicisti incontrati durante l’intensa attività concertistica e nella riuscita di un progetto ambizioso. Ma qui non si tratta solo di un ben fatto lavoro di sintesi, entrano in gioco anche elementi nuovi, mentre altri già presenti vengono sviluppati in maniera molto più compiuta (è il caso, giusto per citare un esempio, delle percussioni). Fingers è un disco da ascoltare senza soluzione di continuità, dove i sette pezzi, tutti ben caratterizzati, sono legati dall’idea di musica contemporanea suonata in buona parte con strumenti tradizionali: le atmosfere dilatate e spesso ipnotiche, partendo dalla ricerca elettro-acustica, vanno a toccare la classica contemporanea, mantenendo sempre quell’ascoltabilità che di Boccardi è forse la dote migliore. Fra tutti i brani segnalerei come particolarmente riusciti la lunga ed eclettica Piano Memory Ground, dove le brumosità ambientali convivono con folk mutante, tocchi minimalisti e vocalizzi mantrici e l’avant-tribale All Her Grains, scossa da un’enfasi ritmica davvero notevole. Non solo un riassunto dell puntate precedenti, dunque, Fingers getta i semi per il futuro e ci fa intuire le prossime mosse del nostro.