Interessante peculiarità quella della Lady Lovely che come per Betzy anche con A Dog To A Rabbit sforna una band che potrebbe benissimo provenire da Seattle quanto da Portland. Fino a pochi anni fa, oggi più raramente, le nostre band anglofone, quando non crollavano di fronte ad una pietosa pronuncia inglese, raffazzonavano sound malamente prodotti o totalmente claudicanti. Ovviamente questo non è il caso del power-trio fiorentino che invece sciorina un hard-grunge sicuro ma flessibile, ammiccante tanto ai Franz Ferdinand quanto ai Nirvana. Un occhio puntato sul ritornello e l'altro sulla potenza (leggi tiro) conferma questi giovanotti come promettenti alfieri del rock‘n'roll tricolore. Certo ai miei tempi il basso gonfio come un trattore lo avevano solo Barry Adamson, Jesus Lizard e Big Black, mentre oggi impera un po' ovunque tra chi vuol essere posh, ma questo non è un problema, anzi conferma che la competizione ha alzato la qualità. E poi non dimentichiamo che "tutta la tecnologia al popolo" (mi riferisco all'eccellente produzione) è un'arma a doppio taglio, ma che quando deve amministrare dell'estro, non può che portare del gran bene. Esportabile quanto un film di Leone.