Sean Keel – A Dry Scary Blue (Icons Creating Evil Arts, 2022)

Chitarra.
Poi c’è la voce, di Sean Keel, che sembra venire da lontano, come se Joe Cocker fosse naufragata su un’isola lontanissima. Sean Keel ha una bellissima storia, quelle storie che a leggere sembrano quasi troppo speciali per essere vere, ma che in realtà si possono riassumere in pochissime parole: qualità, costanza, passione.

Sean ha 60 anni ed ha sempre creduto nella musica, deve averlo fatto per esprimersi in questo modo; ha fatto alcuni dischi con un altro progetto, poi delle autoproduzioni in solo, poi qualche brano sparso, fino a questo disco, che è stato pubblicato da un’etichetta svedese, per la prima volta, alla sua età. Ed allora mi viene in mente quanto discusso con Davide Cedolin, sulla magia della musica, sulla sua capacità di muoversi indipendentemente dalle gambe di chi l’ha creata per trovare casa. Da Austin a Stoccolma, al Canton Ticino dove lo sto ascoltando, alla Liguria, da dove Sodapop si esprime. Leggera, intensa e fisica, soda, carnale. A Dry Scary Blue è uno di quei dischi che non possono lasciare indifferenti, forse è prematuro dirlo ora ma sento sulle punta delle dita che sarà un regalo che andremo a scoprire sulla lunga distanza ed al quale dobbiamo affezionarci subito. Un po’ come quando decisi, dopo una canzone, di produrre un nastro ad Aldo Becca, così questa sera, dopo aver ascoltato tre canzoni ho chiesto di poter intervistare Sean. Ho scaricato tutto quanto lo scibile dal suo Bandcamp, i tre dischi dei Bill The Pony, Long Ways Till Winter, l’album che ha inciso lo scorso anno, poi quattro dei dieci brani che compongono questo disco. La linea grafica di queste ultime canzoni è abbozzata, lineare, umana, rappresentano forse i diversi lati di Sean, i ruoli che si intersecano sulla sua figura. A tratti, come in Hill Of Three Oaks sembrerebbe quasi un Daniel Johnston affaticato ed intonato, mentre altri non è che un nuovo amico, seduto con noi sotto ad un portico poco rischiarato, a farci sentire delle sue canzoni. Attraverso questi atti ci racconta di sé. Si racconta al pianoforte, quando la voce e quel bicchiere vuoto non può non farci pensare a come si divertirebbe Tom Waits ad abbaiare, battendo qualche pentola con lui e magari versando qualche lacrima. Sean Keel tiene a precisare che buona parte del merito di questo lavoro va condiviso con Gabriel Rhodes, il suo produttore, capace di aver fatto cose speciali con questi brani. Io mi allargherei, ringraziando l’amico che ha consigliato Sean di affidarsi ad un produttore. Ringrazierei il boss di Icons Creating Evil Art che ha ascoltato i brano decidendo di produrli, ringrazierei Pamela di Neecee Agency che, curando la promozione italiana,  mi ha proposto il suo ascolto.

Ma soprattutto ringrazierei Sean Keen, per essere entrato nel mio mondo con i suoi suoni, i suoi silenzi e le sue storie.

Benvenuto Sean, ti aspettavo senza nemmeno saperlo.

SODAPOP: Salve Mr. Keel, molto piacere! La prima volta che ho scoperto la sua storia ed ho ascoltato la sua musica sono rimasto sorpreso e sbalordito. Sembra che al momento ci sia stato finalmente un riscontro al suo esprimersi attraverso il suono. Un’etichetta svedese, riscontri ed articoli in giro per il mondo, com’è la vita di Sean Keel il musicista?
SEAN KEEL: Salve! La musica è stata la mia principale fonte di divertimento negli ultimi dieci anni e mi sembra migliori sempre! L’interesse di Icons è stata una bella sorpresa, e nel medesimo periodo ho iniziato una collaborazione con un pianista compositore jazz e gospel molto talentuoso, Rick Gallagher. Un distacco in qualche modo dai miei lavori passati, nel quale mi sto divertendo parecchio.

SP: Ascoltando la tua voce non posso non pensare a due grandi artisti molto differenti fra loro, Tom Waits e Joe Cocker. Come cantante, che artisti sono stati un’ispirazione per te? Potresti raccontarci che tipo di musica sia stata il tuo carburante attraverso gli anni?
SK: Da giovane, diciamo fino alla ventina abbondante, ho ascoltato un sacco di Bob Dylan. Invecchiando e sperimentando diversi lati della mia esistenza, incontrando qualche difficoltà in più, sono stato via via più interessato da musica simile stilisticamente ma che mi sembrava maggiormente reale e direttamente personale. A quei tempi mi trasferii ad Austin, Texas, ed apprezzai imediatamente la loro branca di musica folk e country. M Musicisti come Townes van Zandt, Guy Clark, Kris Kristofferson, Willie Nelson, Lucinda Williams. Questi sono rimasti I miei riferimenti fin da allora. Non ho ascoltato molto Joe Cocker in realtà, mentre Tom Waits ho iniziato ad ascoltarlo qualce anno fa: amo le sue splendide ballate, brani come Alice, Georgia Lee, Hold On, Time. Mi piace questo tipo di roba, non sono particolarmente portato per i suoi brani più sperimentali.

SP: Il Texas ed Austin hanno un’enorme scena musicale. Da qui posso pensare alla psichedelia ed al country, ad etichette come Trance Syndicate ed Emperor Jones così come artisti come Willie Nelson e Waylon Jennings. È una mia impressione o potresti abbracciare e vivere entrambe le scene?
SK: Non sono sicuro di capire fino in fondo la tua domanda ma non ho molta familiarità con etichette come quelle da te citate. Sono, per essere onesto, molto lmitato nei miei gusti musicali. Willie Nelson, amo quell’uomo. Waylon Jennings, non uno dei cantautori migliori del mondo ma sicuramente ha una voce molto cool.

SP: Come riesci a sposare le tue due vite, quella di matematico e quella di musicista? I due mondi hanno delle sovrapposizioni, ad esempio nelle ispirazioni o nel pubblico?
SK: Un sacco di matematici sono musicisti, ma spesso sono più nell’ambito della musica classica, a proposito della quale sono completamente ignorante (e che non mi attira per nulla). Per me matematica e musica sono piuttosto separate, non mi è mai successo che una ispirasse l’altra. Ma ci sono alcune sovrapposizioni nelle mie capacità: in matematica sono bravo nel trovare vie semplici e dirette per esprimere cose anche molto complesse. Credo di essere piuttosto bravo nella medesima cosa anche come cantautore.

SP: Quali sono I tuoi prossimi progetti? Hai pianificato qualche concerto negli Stati Uniti? Credi che ti capiterà occasione di esibirti anche in Europa?
SK: Nel febbraio di quest’anno ho iniziato a suonare il pianoforte, pensavo da un po’ che potesse essere uno strumento naturale per il mio stile musicale e per la mia voce, ma ero troppo intimidito per provarlo, troppo influenzato dall’idea che non si possa realmente gestire uno strumento a meno che non ci si eserciti già dall’infanzia. Ad esempio, sono piuttosto bravo al flauto, che suonavo da bambino, ma non sono mai stato interamente a mio agio con la chitarra, che ho iniziato ad esercitare soltanto dopo i 40 anni. Ma il pianoforte è stat veramente una bella sorpresa, ci ho appena scritto 4 canzoni, sono semplici ma mi piacciono, aspetto che arrivino cose sempre migliori. A proposito, ho avuto l’occasione, circa un anno fa, di cascare dentro la musica per piano di Rick Gallagher, brevi strumentali tra jazz e gospel. Li ho trovati parecchio ispiranti, ho scritto dei testi per diversi di essi e glie li ho spediti con delle versioni cantate da me su garage band (che ho scaricato da internet). È un vero professionista, non immaginavo potesse prendere seriamente le mie cose ma, con mia grande sorpresa, le ha apprezzate veramente! Poi qualche mese fa gli ho spedito una delle mie canzoni pianistiche. Rick l’ha risuonata, facendo partire una collaborazione musicale con lui agli strumenti ed io alla voce. Credo sia una delle cose più belle che abbia mai fatto. Andremo a provarne delle altre! Non ci siamo mai incontrati (credo che viva a Pittsburgh se non ricordo male) ma è comunque una delle cose più cool che abbia fatto nella mia esperienza musicale finora. Non ho spetacoli programmati al momento, ho una condizione clinica rispetto alle mie corde voca

li (un fenomeno di assottigliamento) che mi rende complicato cantare più di una o due canzone in una sessione (ed è anche il motivo per cui la mia voce risulta così roca). Sto lavorando duro per migliorare questa condizione, anche con l’aiuto di professionisti, quindi spero di poter ristabilire una stabilità ragionevole prima o poi. Riuscendoci partirei volentieri con dei concerti, ma anche se non ci riuscissi mi rimane abbastanza voce per registrare (con una buona attrezzatura non hai praticamente bisogno di un volume alto di partenza) e di sicuro continuerò con lo scrivere e registrare musica e canzoni. Mi è capitato di lavorare per qualche mese fuori Parigi, mi piacerebbe esibirmi in qucleh concerto in Europa, suonando il pianoforte in una stanza scura, tranquilla abbastanza da farmi sentire il ghiaccio tintinnare nei bicchieri, questo è uno dei miei sogni attuali!

SP: Icons Creating Evil Arts ha un roster piuttosto ampio e trasversale. Come ti trovi vicino ad artisti electro pop, drone, sperimentali e trip hop? Hai ascoltato qualcuno dei tuoi compagni di etichetta? Che ne pensi?
SK: Come detto non sono il più curioso degli ascoltatori, lo riconosco come mio punto debole, ma ho dato una scorsa al roster e ci sono diversi progetti che mi piacciono onestamente: Brothers Among Weta, Maple and Rye, Old Kerry McKee. Una delle artiste, Lara Lynn, la conoscevo tramite qualche canzone anche prima di conoscere l’etichetta.

SP: Ultima domanda…hai la possibilità di organizzare un piccolo festival musicale, due serate con quattro acts per sera e devi esibirti anche tu. Quali sarebbero le tue scelte artistiche?
SK: Intendi che artisti vorrei invitare? Wow, che domanda divertente, grazie! Allora, questa sarebbe la line up:
Prima sera:
Chris Ritter (è un mio amico, nessuno lo ha mai ascoltato. Cantautore fantastico, nella scia di Townes Van Zandt).
Bill the Pony

(il mio Progetto com famigliari ed amici, musica collaborativa,testi di solito I miei, diverse persone alla voce, un mix fra indie folk, folk e qualcosina di jazz)
Bill Fay (mia recente scoperta, mi ci sono appena innamorato,  non mi risulta sia molto conosciuto)
Bill Callahan (sono sempre impressionato da lui, nemmeno lui credo sia molto conosciuto)
Mi piacerebbe poter avere anche Nick Drake con noi se fosse ancora vivo…
Seconda sera:
The Mountain Goats (cercateli se ancora non li conoscete, talentuosi in modo insano)
Joni Mitchell (so che ha avuto diversi problemi di salute recentemente ma ho visto un suo video mentre canta nell’ultimo periodo ed è stupenda in maniera incredibile). Se non riuscisse ad arrivare opterei allora per gli Ordinary Elephant (duo folk fantastico)
Io suonerei insieme a Rick Gallagher (il pianista che ho citato prima), Gabriel Rhodes (il mio produttore) e mio figlio Lukas Keel. Di sicuro canterei una canzone con mia moglie, in questa sera o con i Bill the Pony. Chiuderei con Adrianne Lenker, probabilmente la musicista e cantante più potente al momento nell’area folk e country che amo…